Acqua, il grande bluff della politica

Una volta nella giungla scoppiò un finimondo: elefanti, rinoceronti, gazzelle, tigri, leopardi, zebre correvano in modo forsennato verso il fiume. E’ lì che era stato fissato il raduno degli animali, in attesa che arrivassero i leoni, per capire cosa si doveva fare. Ad un certo punto una puzzola incrociò il Re Leone, il capo dei capi che avanzava a passo lento, sicuro che tanto alla fine avrebbero fatto tutti quello che diceva lui. La puzzola si fermò spaventata e il Leone le chiese: «Ma dove stai andando?». «Al fiume rispose, c’è una grande assemblea». E il Leone: «Ma perché, cosa sta succedendo?». Allora la puzzola ammise: «Non lo so, ma mi hanno detto di andare, perlomeno a fare casino».

Ecco, la vicenda del servizio idrico non è tanto diversa dalla favola. Per anni, dal 2006 al 2011, nell’assemblea dei sindaci è mancato il numero legale sistematicamente perché nessuno voleva votare l’adeguamento delle tariffe. Non volevano farlo i sindaci del Pd e di Forza Italia, dell’Udc e di altre formazioni politiche. Non volevano farlo per poter dire ai cittadini che non erano stati loro a far aumentare le bollette. Per motivi elettorali insomma. Ovviamente con il sostegno dei rispettivi Partiti. Poi abbiamo scoperto che quell’atteggiamento ha determinato l’intervento di un commissario che ha riconosciuto ad Acea 75 milioni di euro di danni. Chi paga? I cittadini naturalmente. Si sta vedendo nelle bollette. Il Tar ha dato ragione al gestore. Nel frattempo anche la Provincia è rimasta a guardare: per la verità Francesco Scalia aveva preparato una transazione che avrebbe contenuto il… danno per i cittadini. Ma è stata affossata. Antonello Iannarilli fu preso dal furore delle cause contro Acea, senza cavare un ragno dal buco.

Tanto alla fine sono i cittadini a pagare. Sull’acqua, sulla Cosap, su tutto.

Oggi i sindaci scoprono che bisogna risolvere il contratto con Acea. Partono Roberto Caligiore e Massimo Ruspandini, seguono gli amministratori di Forza Italia. Guidati da quel Nicola Ottaviani che appena un anno fa era stato decisivo nel convincere i suoi colleghi dell’assemblea a votare il Piano di investimenti di Acea di 62 milioni di euro. Pure lui ora folgorato sulla via di Damasco.

Il Pd può stare a guardare? Naturalmente no. Ecco allora che Antonio Pompeo, Simone Costanzo e Sara Battisti indossano l’armatura dei templari, brandiscono la spada e danno l’ordine: “Mandiamo via Acea”.

In realtà sanno tutti che attivare la procedura di risoluzione del contratto con il gestore rappresenterà il primo passo di un percorso lunghissimo, fatto di atti giudiziari a raffica. E finora Acea nei tribunali ha fatto la parte del… Barcellona. Come se non bastasse si farà la fusione tra Acea Ato 2 (Roma) e Acea Ato 5 (Frosinone), ma la stessa non interesserà gli Ambiti Territoriali, che rimarranno distinti. Insomma, quando tutto sarà finito, Acea starà a Roma. Non qui. Nel frattempo i Comuni, se dovessero perdere la causa, andrebbero in bancarotta. Quindi a cosa serve tutto questo casino? A far dire ai candidati alle varie elezioni che loro sono contro il gestore e dalla parte dei cittadini. I quali infatti stanno pagando i 75 milioni di euro riconosciuti ad Acea per l’inerzia degli amministratori. E stanno pagando la tassa sui passi carrabili dopo che era stato raccontato loro che non l’avevano abolita.

La conclusione è una soltanto: i politici pensano che gli elettori siano dei trogloditi incapaci di intendere e di volere.

Siamo nelle condizioni di farli ricredere?

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