Ini al prefetto: «Trappola al limite dell’estorsione per farci vendere il gruppo»

Il gruppo sanitario che possiede la Città Bianca a Veroli, il polo urologico di Canistro, Ini a Grottaferrata, chiede un incontro al prefetto: «Macchina del fango al limite dell'estorsione per indurci a vendere»

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Qualcuno vuole costringere il gruppo Ini a vendere le sue cliniche. E per abbassarne il valore lo ha messo nel mirino di una macchina del fango. Un’operazione al limite dell’estorsione. Tutto scritto. Nero su bianco, su una lettera riservata che è stata consegnata al prefetto di Frosinone Emilia Zarrilli per informarla di ciò che sta accadendo intorno al gruppo dell’Istituto Neurotraumatologico Italiano. E’ la società che in provincia di Frosinone ha la Città Bianca di Veroli, a Canistro la divisione di Urologia che è il centro di riferimento per la Ciociaria, a Grottaferrata un polo di ricerca.

 

L’ATTACCO AL GRUPPO INI

Il gruppo finisce sulle pagine nazionali di un quotidiano sabato scorso. E poi su una serie di portali allnews. Un articolo riferisce nei dettagli di un’inchiesta della Procura di Roma secondo la quale all’Ini sono stati usati i soldi pubblici per affari privati.

L’indagine ha preso il via nel febbraio del 2016 quando presso la Procura di piazzale Clodio viene presentata una denuncia-querela a firma del sindacato Sincel. Nel dettagliato esposto, corredato anche di perizie bancarie ed immobiliari, si espongono i fatti e in particolar modo che “la società Ini si è resa responsabile sin dal settembre del 2013 del reato di truffa aggravata ai danni della Pubblica Amministrazione 

E’ proprio questo dettaglio a far scattare l’allarme nel gruppo. Nonostante il giorno festivo viene convocato immediatamente un vertice con i consulenti, i commercialisti, gli avvocati penalisti, in collegamento audioconferenza ci sono  gli avvocati tributaristi. Perché un simile dispiegamento di forze, per un articolo di giornale? Perché un dettaglio si collega tutto ad un’altra storia: molto recente, finita in mano anche ai Servizi Segreti.

 

IL COLOSSO ED I MILIONI NELLA PANCIA

Un passo indietro. Chi è il gruppo Ini, altrimenti resta difficile capire. Nel suo settore lo considerano un colosso. Ha mille posti letto, circa 1200 dipendenti, strutture stimate 192 milioni di euro, ha un capitale circolante pari a 121 milioni di euro. Non se la passa male anche se deve riscuotere 255 milioni di euro: il principale debitore che tarda a saldarglieli è lo Stato.

Il colosso è uno dei pochi in Italia ancora nelle mani di una famiglia d’imprenditori. In passato hanno fatto società: una li ha visti insieme al principe Aga Khan Karim, il quale, ai suoi pranzi personali in Costa Smeralda ammetteva solo il capostipite di quella famiglia, il professor Delfo Galileo Faroni. Un’altra l’hanno fatta in Libano realizzando una clinica nel centro residenziale di Beirut: una persona poi gli consigliò di vendere a qualsiasi prezzo e ripartire il prima possibile; dopo una settimana iniziarono i bombardamenti. Un’altra società la fecero con un signore che frequentava principi piemontesi ben collocati: ma non si trovarono bene, sciolsero ogni rapporto, vennero tacitati con una valigia di cambiali (nel vero senso della parola). Da allora non hanno più fatto società con estranei.

Ogni tanto qualcuno bussa. Soprattutto i colossi concorrenti. Per tanti motivi: il gruppo è sano, lavora moltissimo, la clientela è consolidata, gode di una buona reputazione, e poi quei 255 milioni da riscuotere sono un bel bocconcino.

Ogni volta, alle offerte d’acquisto è stato risposto con un garbato ma chiaro rifiuto.

 

I MISTERIOSI OCCHIONERO

Lo scorso anno iniziano ad accadere cose strane. I computer negli uffici iniziano a non funzionare bene: sciocchezze che si risolvono però da sole quasi subito. A distanza di qualche mese si viene a scoprire che dentro quei computer ci sono entrati alcuni sistemi spia. Lo scopre la magistratura di Roma: i magistrati ritengono che li abbiano inviati l’insospettabile ingegnere Giulio Occhionero e sua sorella Francesca: sono i due professionisti che vengono arrestati lo scorso gennaio per cyberspionaggio a carico di banchieri, manager, politici, economisti. Sui giornali si legge che i due fratelli spiavano l’iPhone dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi. E anche la casella di posta del governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Ma pure l’account dell’ex premier Mario Monti e quello del generale comandante generale della Guardia di Finanza.

Qualcuno era entrato in quella società, aveva sbirciato tra i suoi conti, monitorato l’andamento degli affari. Ma lo si scopre soltanto dopo, molto tempo dopo, quando gli Occhionero vengono arrestati.

Per pura coincidenza, poco tempo dopo quello strano funzionamento dei computer, era ripartita l’offensiva per acquisire il colosso.

 

I MISTERIOSI POLITICI

Ancora stranezze. Per anni l’azienda non ha mai avuto problemi di relazioni esterne: banche, politica, uomini d’affari, sindacati. Ottime relazioni con tutti, sempre nel rispetto dei ruoli.

All’improvviso però, iniziano gli attriti. Con un gruppo politico nazionale. Accade pochi mesi dopo che l’inchiesta ha reso inutili le intromissioni fatte dagli Occhionero.

Il partito politico inizia ad interessarsi del Gruppo Ini. Non lo fanno i suoi parlamentari eletti in provincia di Frosinone: se ne interessano deputati eletti in altri territori. Accompagnandosi  ad una sigla sindacale che manda strane mail e messaggi. Perché strani? Perché – per esempio – se tra i poteri di un sindacato c’è quello di controllare il rispetto delle condizioni di lavoro, normalmente i sindacalisti vanno e verificano che vengano rispettati il contratto e le leggi. Ma se ti avverto ‘guarda che potrei venire a controllarti di notte‘ l’impressione che se ne potrebbe ricavare è che si tratti di un ‘velato consiglio non richiesto’.

Le difficoltà di relazione sono tali che si arriva alle carte bollate. Dall’una e dall’altra parte.

 

I DOCUMENTI SPARITI

Ma, come nel caso dei computer che funzionavano male, per pura coincidenza poco tempo dopo le carte bollate si scopre una stranezza. In azienda telefona una società che sostiene d’avere inviato tutta la documentazione e di non comprendere perché siano state interrotte le trattative per la vendita. Ai piani alti lo prendono per un mitomane e lo congedano. Quando il cortese signore ritelefona ed invia per mail una serie di documenti, esplode la bomba: quelle carte fanno parte della ‘data room’ sono cioè informazioni sensibili che un mitomane non può avere.

Chi gliele ha date? Nessuno della famiglia sta vendendo la sua quota. Allora chi sta studiando la cessione? Chi e come ha ottenuto quei prospetti economici sensibili? E come mai quelle informazioni poi appaiono nelle mani dell’ignaro signore che dall’alta Italia chiede di proseguire nelle trattative per la cessione?

Il caso viene segnalato agli inquirenti. E viene mantenuto il massimo riserbo.

 

LA NOTA AL PREFETTO

Quei documenti riappaiono nell’esposto che dà il via alle indagini sul gruppo Ini ed i fondi ottenuti dall’Inps.  E’ un’indagine partita poco meno di un anno fa. I manager chiedono udienza al magistrato e forniscono la loro versione. Il magistrato sta continuando ad esaminare i dati.

La notizia era già stata pubblicata l’estate scorsa. Ora riappare. Nello stesso periodo in cui un gruppo si è fatto avanti per sollecitare la vendita delle cliniche Ini.

 

Gli investigatori chiamati sabato sera al tavolo di crisi individuano un chiaro legame che collega le varie stranezze.

Il Gruppo decide la linea della trasparenza. E ne informa il prefetto inviandole una nota. Scive «Il regista di questa operazione ha un nome ed un cognome. Stiamo lavorando per individuare il mandante (…) Sono stati completamente inventati fatti, costruiti al solo scopo di danneggiare l’immagine del Gruppo. Le nostre cliniche, soprattutto in provincia di Frosinone, fanno gola a qualcuno. Lo scopo dichiarato di queste iniziative è di colpire il gruppo Ini, deprezzarne il valore, fare o far fare un redditizio affare economico, con il sostegno di gruppi editoriali e rappresentanti di forze politiche. (…) Il Gruppo non è in vendita né può essere costretto a vendere con le minacce, le denigeazioni, le false informazioni, se non sconfinando nell’estorsione».

Il caso è stato già riassunto in un fascicolo. E consegnato alla Procura.

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