La leadership anomala di Matteo

Non soltanto il ministro della Giustizia Andrea Orlando, ma anche quello dei Beni Culturali Dario Franceschini chiede al segretario nazionale del Pd Matteo Renzi di lavorare per una coalizione di centrosinistra, che vada da Mdp di Speranza-Rossi-Bersani-D’Alema ad Alternativa Popolare di Alfano.

 

Strana e paradossale situazione quella del Partito Democratico in questo torrido Ferragosto: Renzi ha vinto le primarie alla grande, ma poi le amministrative hanno fatto registrare l’ennesima sconfitta, mentre il centrodestra avanza. Non si sa quale legge elettorale porterà l’Italia alle urne e questo denota lo stallo di una classe politica incapace di rispondere perfino alle sollecitazioni del Capo dello Stato, Sergio Mattarella.

 

Con il proporzionale le alleanze si potrebbero fare dopo, ma in realtà l’argomento regge fino ad un certo punto, perché all’epoca del pentapartito non è che non si sapeva che poi la Dc si sarebbe alleata con il Psi, il Psdi, il Pri e il Pli.

 

In realtà è la leadership renziana ad essere anomala. Ha la maggioranza all’interno del Pd, ma non riesce ad aggregare al di fuori. Da soli non si va da nessuna parte e questo discorso vale anche per i Cinque Stelle. Non è per caso che il centrodestra, se unito, vola nei sondaggi. Anche se l’altolà di Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) a Silvio Berlusconi sull’alleanza tra Forza Italia e Alternativa Popolare alle regionali siciliane dimostra che anche in quel “campo” l’unità è tutta da costruire.

 

Nel Pd si affacciano altre ipotesi per la guida di un eventuale futuro governo: Marco Minniti, Graziano Delrio, Dario Franceschini.

 

Nessuno dei due leader, però, vuole mollare: non Matteo Renzi e neppure Silvio Berlusconi. Per i Cinque Stelle, invece, è quasi certo che sarà Luigi Di Maio a guidare il partito alle politiche.

 

Sui territori la confusione è totale perché le varie “correnti” non capiscono quale sarà l’effetto finale.

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