Martin Lutero voleva protestare e non dividere la Chiesa

Lutero e quella sfida di rinnovamento. Le 95 Tesi affisse cinque secoli fa. Il vescovo Ambrogio Spreafico invita a rileggere la Riforma oltre le divisioni.

Giacomo Gambassi per Avvenire

 

Sul portale della chiesa del castello di Wittenberg le 95 Tesi del monaco agostiniano Martin Lutero sono oggi incise nel piombo delle due ante.

È facile trovare gruppi di turisti o pellegrini che si fermano di fronte al cancello che protegge questo “simbolo” della Riforma.

Già, perché soltanto di un segno si tratta nonostante la tradizione voglia che Lutero abbia affisso le Tesi all’ ingresso della chiesa della cittadina tedesca che adesso viene considerata una sorta di capitale mondiale del luteranesimo.

Proprio cinquecento anni fa, nella giornata di oggi, il 31 ottobre 1517, il religioso propose alla pubblica discussione la sua dichiarazione sull’ efficacia delle indulgenze. E lo fece, come lui stesso scrisse, «per amore e desiderio di elucidare la verità».

«Ricordare quell’ evento significa ricomprenderlo nel suo significato al di là delle incrostazioni storiche e teologiche che hanno portato cattolici e luterani lontani per troppo tempo», spiega il vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale Cei per l’ ecumenismo e il dialogo.

«La Riforma – osserva – si inserisce in uno spirito di rinnovamento che animava la Chiesa già dal XV secolo e che in Lutero trovò senza dubbio un impulso decisivo. Come dice il cardinale Walter Kasper, “Lutero era un uomo desideroso di rinnovamento, non un riformatore”. E le sue 95 Tesi non furono anzitutto un programma di separazione dalla Chiesa cattolica, ma un’ istanza di rinnovamento profondo. Poi la storia portò a una frattura che crebbe per diversi fattori fino ad apparire insanabile».

Spreafico vede nell’ anniversario che si celebra in questi mesi l’ occasione per una «rilettura della Riforma».

«Tutto ciò – afferma – può rafforzare un processo di riconciliazione tra di noi, riconoscendo le ferite della separazione, come ha sottolineato papa Francesco un anno fa a Lund. Inoltre riconciliarsi chiedendo perdono nella preghiera comune per il peccato della divisione rappresenta già un passo deciso verso l’ unità».

Il Pontefice ha evidenziato che uno dei lasciti della Riforma è la prossimità alla Scrittura. «Senza dubbio – chiarisce Spreafico – la centralità della Parola di Dio posta da Lutero a unico fondamento della vita cristiana aiuta anche noi cattolici a riscoprirne il valore centrale nella nostra vita di fede. Il Concilio Vaticano II e più recentemente il Sinodo sulla Parola di Dio hanno insistito che questa è la “roccia” su cui imperniare la nostra fede».

Però c’ è ancora molto da fare in questa direzione. «Tra i cattolici – prosegue il vescovo – la Bibbia rimane ancora troppo lontana e sovente sconosciuta ai più. Mi ha colpito ad esempio come non sia stato accolto con entusiasmo l’ invito di papa Francesco nella Misericordia et misera a dedicare interamente una Domenica dell’ Anno liturgico alla Parola di Dio».

Sempre il Papa ha evidenziato l’ importanza di “riformare” la Chiesa. «La riforma – spiega Spreafico – rimane la richiesta fondamentale per ognuno singolarmente e per le diverse confessioni cristiane. Questa dimensione è stata molto sottolineata sia nell’ impostazione delle celebrazioni dei 500 anni sia nei convegni che si sono svolti in Italia e altrove. Francesco con il suo magistero si è posto senza dubbio nello spirito di una necessaria e urgente riforma della Chiesa in senso evangelico e missionario. La Chiesa “in uscita” di cui ci parla nell’ Evangelii gaudiumsi pone non in una prospettiva istituzionale, ma si lascia interrogare quotidianamente dal Vangelo e dai segni dei tempi».

Snodo nel cammino di avvicinamento è stato la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione del 1999.

«Quel testo così profondo e complesso, frutto di un lavoro paziente e attento a trovare ogni volta le parole giuste per non intaccare le verità in cui noi crediamo, è stato purtroppo dimenticato. C’ è stata la critica di alcuni teologi da parte evangelica e non se n’ è fatto motivo di riflessione all’ interno della nostre Chiese. Questo non doveva avvenire, perché la Dichiarazione tocca un aspetto fondamentale del nostro comune patrimonio di fede che era anche alla base della divisione».

Eppure su alcune questioni restano le distanze. «I punti non sono pochi – ricorda il presidente della Commissione Cei – e riguardano differenze dottrinali, tra cui ad esempio la questione ecclesiologica e quindi i ministeri, alcuni Sacramenti, in particolare l’Eucaristia, oltre al principio di autorità, strettamente legato alla dottrina sulla Chiesa e alla successione apostolica, oppure il culto della Vergine Maria e dei santi. Oggi tuttavia abbiamo creato un clima nuovo, frutto di tanti piccoli sforzi di molti gruppi e comunità cristiane da ambo le parti che ci hanno permesso di superare antiche diffidenze e pregiudizi, pur nel rispetto delle differenze. Credo che dobbiamo continuare a incontrarci, ad ascoltarci e a parlarci. Conoscere l’ altro e costruire relazioni rimangono la via migliore per rispettarci e arricchirci reciprocamente. Bisognerà senza dubbio continuare la riflessione teologica, come si è fatto sulla dottrina della giustificazione. Ma ci vorranno tempo, molta preghiera e gesti di carità condivisi».

In questi mesi in Italia sono state numerose le iniziative per celebrare la Riforma organizzate da diocesi e parrocchie.

«Anche l’ Ufficio Cei per l’ ecumenismo e il dialogo interreligioso con la Commissione episcopale è stato protagonista di molti incontri significativi come i due convegni (Trento lo scorso anno e Assisi quest’ anno) che per la prima volta sono stati organizzati insieme alle Chiese evangeliche italiane. Si tratta di un fatto non secondario nella ricerca di una comune riflessione e interpretazione delle vicende di questi secoli dalla Riforma. Sono fiducioso. Si è aperta una strada che siamo chiamati a percorrere con fiducia e speranza. E la crescita dell’unità tra di noi è segno per un mondo che sembra andare al contrario e costruisce i muri incentivare le divisioni»