Quando alle manifestazioni la gente è assente

di Arturo GNESI
Scrittore – Medico
Sindaco di Pastena

 

 

C’è qualcosa di misterioso e di inafferrabile nella mentalità della società contemporanea. E’ fuori dubbio. Come è altrettanto vero che c’è una inquietudine diffusa e indistinta. Segno di una disillusione esistenziale e di una valutazione pessimistica di questo periodo storico, caratterizzato da una durevole crisi economica e da un deludente panorama politico.

Non voglio avventurarmi in analisi sociologiche e in valutazioni politologiche che esulano dalla mia attività lavorativa e dalla mia formazione professionale. Mi voglio attenere a due fatti significativi. A due vicende alle quali ho partecipato, nel ruolo di sindaco, in questi giorni.

Il 21 marzo sono stato a Ceprano alla manifestazione organizzata dall’associazione Libera per ricordare le vittime innocenti della mafia. E il 25 sono stato a Castro dei Volsci dove è stato reso omaggio al monumento della mamma ciociara per tutelare la memoria e la dignità delle donne marocchinate durante le fasi conclusive della Seconda Guerra Mondiale.

A Ceprano c’è stata la presenza di alcune classi di studenti autorizzate a partecipare alla manifestazione pubblica che hanno ravvivato e colorato il primo giorno di primavera. A Castro solo una mezza dozzina di fasce tricolori a ricordare gli eventi drammatici consumati da un branco di uomini autorizzati a fare scempio e bottino delle donne ciociare.

Il punto saliente e inquietante delle due manifestazioni è la pressoché totale assenza della gente comune. Un popolo distratto e distante, una società civile che appare indifferente ai temi che riguardano le infiltrazioni mafiose e le vittime della barbarie della guerra.

Mentre ci si incammina si notano le stesse scene, i bar pieni di persone, gruppetti di giovani che discutono su una panchina, chi procede spedito con la busta della spesa chi infine butta distratto uno sguardo ai passanti.

La sensazione è che ci sia come un fossato enorme tra le istituzioni e la gente comune. Una distanza abissale, una sorta di incomunicabilità dovuta ai bisogni quotidiani. E alle esigenze delle famiglie che reputano queste celebrazioni e queste tematiche, astruse e fittizie.

Io penso che quando indosso la fascia tricolore non vado a celebrare un rito desueto e anacronistico. Lo ritengo utile a mantenere viva la speranza per edificare una società che non vuole più essere vittima dell’ingiustizia e dei soprusi.

Ma aldilà delle convinzioni personali e delle intenzioni delle pur lodevoli iniziative restano irrisolte alcune domande. La prima: perché la gente comune non partecipa ? Colpa della politica sputtanata o di una società che ha smesso di sognare? Perché su questi argomenti che dovrebbero unire e rafforzare le ragioni della convivenza civile oggi non c’è condivisone e solidarietà ?

E’ la politica che non sa parlare alla gente o quest’ultima non ha più voglia di ascoltare nessuno ?

Io non mi preoccupo tanto per le piazze vuote. Ma per il vuoto culturale ed etico che potrebbe sostituire la stagione delle ideologie e della passione civile. Non mi preoccupa tanto la diffidenza verso i sindaci. Quanto piuttosto la rinuncia a lottare per una società più onesta e solidale.

Il confronto e lo scontro tra idee diverse è pur sempre meglio della apparente concordia di coloro che hanno rinunciato a pensare.

 

 

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