Venticinque anni fa la strage di Capaci: la mafia è out? (di A.Gnesi)

di Arturo GNESI
Medico – Blogger
Sindaco di Pastena

 

 

Senza i delitti eccellenti. Senza il sangue riverso per la strada. O le stragi a colpi di mitra e le esplosioni al tritolo: Sembra quasi che la mafia abbia cessato di esistere, sia scomparsa. Finalmente out.

E in questo clima di disarmo, di scetticismo crescente il ricordo della strage di Capaci, avvenuta 25 anni fa, sembra quasi materia dei nostalgici. Argomento tenuto a galla da un manipolo di sopravvissuti della prima Repubblica. Che si ostinano a innalzare la bandiera dell’antimafia solo per la ricerca di un clamore mediatico.

Non si capisce perché è stato sempre faticoso creare un clima di condivisione e una partecipazione viva, attenta e sentita attorno al tema delle stragi mafiose e quindi alimentare un dibattito serio sulle trame collusive con pezzi dello Stato e con uomini delle istituzioni.

In tal modo, mentre la società reale che vive nelle periferie delle città siciliane o nei piccoli centri ha preferito da sempre il silenzio e l’omertà per timore di vendette, ricatti ed esecuzioni sommarie, il resto della società italiana, a parte qualche isolato sussulto, ha trattato con indifferenza e noncuranza questo argomento.

Giovanni Falcone è stato fatto saltare in aria perché ha messo alla sbarra i boss mafiosi. E perché aveva capito come si stava riorganizzando la mafia palermitana e quali potenti legami aveva stabilito con i palazzi del governo, locale e nazionale.

La mafia degli affari, delle banche e dei paradisi fiscali agisce nel silenzio e nell’ombra. Ha tutto l’interesse a mantenere i riflettori spenti e a non creare allarmismi o preoccupazioni sociali.

La mafia c’è e in questi anni, secondo le ultime analisi sociologiche e le indagini delle forze dell’ordine, ha investito in politica. Ha comprato le azioni del potere. Ed ha assoldato gli uomini del Parlamento , nascondendosi all’interno delle lobby e delle logge massoniche.

A 25 anni dalla morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, noi amministratori locali abbiamo il dovere di ribadire che la mafia penetra nelle istituzioni attraverso la corruzione e il voto di scambio. Che ricicla i suoi soldi, esporta e ripulisce i suoi capitali con l’ausilio di professionisti e colletti bianchi. Gente che nulla ha a che vedere con l’icona vecchio stampo del mafioso con coppola e lupara.

La mafia non spara. E qualcuno purtroppo pensa che non esista più . Qualcuno suppone che sia un fenomeno tutto siciliano e pertanto risulta fastidioso questo richiamo al passato. Nociva l’insistenza con la quale si vorrebbero trovare delle complicità negli uomini dello Stato. O che addirittura gli uomini di partito possano avere stretto patti e sottoscritto alleanze con i mafiosi.

C’è chi vorrebbe far calare il sipario su queste rappresentazioni ritenute frutto del qualunquismo e di una protesta generica e populista. C’è chi si ostina a non voler capire che benché non sia un’equazione matematica, è sempre possibile che dietro le ruberie della casta e gli imbrogli dei “cerchi magici” ci possano essere regie occulte e interessi mafiosi.

A Pastena abbiamo ricordato il valore e la dignità di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino e degli uomini delle loro scorte.

L’abbiamo fatto in solitudine e in silenzio quando eravamo semplici cittadini. Continuiamo a farlo adesso in nome di uno Stato che deve sempre porsi dalla parte della giustizia e della legalità.

 

 

§

Leggi tutti gli articoli di Arturo Gnesi

§

error: Attenzione: Contenuto protetto da copyright