Quando il bene diventa un male per noi stessi (di P.Alviti)

Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l'infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi.

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

Ci piace aiutare, quando possiamo farlo ci sentiamo grandi, soddisfatti, siamo contenti di fare il bene, di essere indispensabili per qualcuno, di organizzare bene le attività che dipendono da noi: tutte cose buone ma che nascondono un pericolo, come la parola ci rivela e da cui ci invita a stare in guardia.

 

Anche fare il bene, infatti, è pericoloso.

 

E sì, perché io potrei, anche inconsapevolmente, trasformare le mie buone azioni, la mia solidarietà, il mio aiuto concreto in una grande operazione di autocompiacimento, di esaltazione dell’Io per la quale poi posso anche perdere di vista il destinatario dei miei sforzi positivi: il povero, l’ammalato, il bisognoso di consigli…

 

Un pericolo sottile ma che sta sempre in agguato e che spesso suscita la disapprovazione di Gesù nei confronti, ad esempio, dei ricchi che salgono al tempio per la loro donazione e stanno bene attenti che tutti li vedano, che tutti si rendano conto di quanto sono buoni.

 

Quello è il loro scopo, anche inconscio e perciò ancora più pericoloso. Attorno a noi ci sono tanti deboli, infelici, depressi, sbandati, disorientati: aiutiamoli, è il nostro dovere ma facciamo in maniera di non compiacercene, di non farlo per noi stessi.

 

Altrimenti non saremo buoni ma soltanto sfruttatori del bene.