Cassino e gli Anni di Piombo (Culture)

di Giuseppe BRIANZA
per Formiche.net

 

 

 

La stagione vissuta in Italia negli anni ’60 e ’70, segnata da odio, terrorismo e atti di rivolta senza precedenti, è rievocata nelle cronache con l’allusivo epiteto di “Anni di Piombo”.

Quasi tutti coloro che sono stati investiti di una responsabilità pubblica o sociale in tale tragico periodo, ed hanno inteso tenergli fede, sono stati in qualche modo investiti o sono addirittura caduti vittime del crimine terroristico rosso. Ci riferiamo alle più alte cariche dello Stato per arrivare a magistrati e politici anche di sinistra, da sindacalisti non ideologizzati ad esponenti delle Forze armate e di polizia, per finire con gli imprenditori, categoria a cui è maggiormente dedicata l’opera di Francesco Di Giorgio e Giuseppe Gentile “La Fiat e gli anni di piombo in provincia di Frosinone”, edita nel 2009 ed ora riproposta dall’editore Francesco Ciolfi di Cassino (www.ciolfieditore.it, pp. 270, € 18,00).

Pochi sanno, infatti, che a Cassino nasce la Fiat, la “Mirafiori del Sud” e, di conseguenza, piuttosto traumatica in questa provincia del frusinate è stata l’azione per integrare una classe operaia non abituata al lavoro nella catena di montaggio, al lavoro della fabbrica del XX secolo.

Anche per questo le Brigate Rosse hanno avuto buon gioco per fare di Cassino un crocevia di violenze, sabotaggi, omicidi. Il loro primo volantino fu infatti rinvenuto in una cabina telefonica di Frosinone un giorno di primavera del 1976 e diceva: «Bruciando la sua vettura Fiat 124 familiare targata FR126454 abbiamo colpito il capo officina di verniciatura Artuffo, tipico esponente della nuova tattica di Agnelli in fabbrica, sempre pronto a fare il possibile per gli operai quando con la lotta gli imponiamo la nostra forza, ma in prima linea a fare biglietti di punizione, a licenziare, non appena la lotta si allenta…».

Quindi la “penna rossa” seguitava ad elencare gli altri dirigenti che erano da considerarsi nel mirino: Scanu, il vicecapo di Lastroferratura, Corsini, il capo e Pettinotti del Montaggio che, si minacciava, “Non se ne stiano tranquilli”.

In effetti per l’ultimo della lista, Pettinotti, il “piombo” non tardò ad arrivare, con un “preavviso” dato con un ulteriore macabro volantino diffuso in tutti i reparti dello stabilimento. Diceva così: «E’ venuto il turno dell’odiato capo officina del Montaggio, prossimamente dirigente Fiat, che ha ricevuto un po’ di piombo caldo, per questa volta nelle gambe…Colpire Capi, fascisti e dirigenti non è reato!».

Qualche giorno dopo, ecco un’altra sinistra rivendicazione, stavolta così titolata in stampatello: “Gli operai non hanno pianto sulla gamba di Pettinotti, continua la lotta in fabbrica…”.

Uno dei capitoli più interessanti che, sulla base di una accurata documentazione di prima mano, gli Autori ci consegnano, che appare di particolare valenza perché entrambi sono ex dirigenti sindacali, il primo, Di Giorgio, proveniente dalla CGIL, l’altro, Gentile della CISL, è quello intitolato “I Cattivi Maestri”, alle pagine 198-201 del libro che, da solo, ne giustificherebbe l’acquisto e la lettura.

I Cattivi Maestri degli “Anni di Piombo”, secondo gli Autori, sono quindi quei maître à penser che «[…] dietro il paravento delle teorie elaborate da [Herbert] Marcuse [(1898-1979)] […], al di là dei fatti penali, sono da ritenere moralmente più responsabili degli altri, vivono una vita tranquilla. Addirittura molti di essi sono inseriti nei gangli vitali della vita sociale e politica dell’Italia di oggi» (p. 198).

Si tratta insomma di spargitori del “seme della violenza” negli strati popolari, dalle cui fila furono reclutati gli affidabili esecutori materiali delle violenze e degli omicidi, progettati a tavolino da un potere ideologico violento e disposto a tutto, ben saldo e protetto nelle redazioni, nelle università ed in non poche poltrone di edifici settecenteschi, tra tele prestigiose e affreschi pregiati (cfr. Richerd DrakeI, Il seme della violenza. Toni Negri apostolo della rivoluzione nella stagione del terrorismo, in Nuova Storia Contemporanea, n. 6, novembre-dicembre 2004, pp. 57 e ss.).

Alla base di tutte le varie organizzazioni e gruppetti terroristico-criminali fioriti in quel periodo c’era infatti una “mente”, ramificata nell’intellighenzia nazionale ed in grado di dar vita ad una solida base burocratica, all’interno della quale vanno ricercati mandanti, collaboratori e mediatori delle bande armate.

E’ per questo che, come scrivono Di Giorgio e Gentile, anche a distanza di decenni «Resta imprescindibile l’esigenza di non dimenticare. La stagione degli anni di piombo è un periodo buio della storia della Nazione che va studiato, approfondito, conosciuto continuamente. Per non dimenticare ma, soprattutto, per evitare sempre possibili derive democratiche» (pp. 200-201).

Anche se c’è qualcuno che sostiene che in Italia c’è “troppa storia”, di sicuro c’è poca memoria, soprattutto per chi ha combattuto contro la violenza del terrorismo. E lo diciamo in primo luogo per quegli Italiani che sono stati, negli anni ’60 e ’70, vittime del loro attaccamento al dovere e che, ancora oggi, ci richiamano all’ordine nell’affrontare le asperità di una crisi che, sicuramente fa mettere mano al portafoglio ma non, come a tanti loro colleghi e familiari, alla bara.