Guardare gli altri? Non sempre è una buona cosa. Lo dice la legge di Gumperson

Maria Rita Scappaticci

Psicologa e blogger

di MARIA RITA SCAPPATICCI
Psicologa e blogger

 

 

Ci sono strani dispositivi che governano la nostra mente. Indirizzano la nostra attenzione verso obbiettivi, a volte, molto lontani dal nostro modo di essere e di pensare.

Volere a tutti i costi che qualcosa si realizzi nel modo in cui l’abbiamo pensata e vista nella nostra immaginazione. Pensare in questi termini alla realtà, senza chiedersi se possiamo riuscire a farlo, nasconde il fallimento dietro l’angolo.

E’ come andare in un negozio e pensare ci stiano bene tutti vestiti che sono sui manichini.

Ricordate la Legge di Murphy? E’ un insieme di paradossi pseudo-scientifici, a carattere ironico. Il primo assioma, è il più celebre: «Se qualcosa può andar male, lo farà»

Una elaborazione della legge di Murphy è la legge di Gumperson che dice più o meno così: “La probabilità che una cosa accada è inversamente proporzionale alla sua desiderabilità”.

La brama di ottenere una qualsiasi cosa nell’immediato e come la immaginiamo non potrà mai avverarsi se non consideriamo le basi di partenza. E le basi sono rappresentate da noi stessi. Chi siamo, come possiamo muoverci nel mondo, quali possibilità abbiamo per pretendere quel desiderio.

Essere consapevoli non è scontato.

A dir la verità sappiamo davvero poco su noi stessi perché guardiamo a quello che succede fuori. Quello che gli altri raggiungono, gli obiettivi di chi ci vive davanti gli occhi fanno parte della altrui vita non della nostra.

E non possiamo sperare di raggiungere le stesse identiche realtà ma solo perché siamo diversi.

Sperare di essere delle copie: ecco l’errore che porta alla tristezza e al vivere male.

Volere per se stessi quello che gli altri hanno ottenuto, nel medesimo modo e con le medesime caratteristiche, è una spinta a cancellare i nostri veri desideri. E la tristezza derivata dalla non riuscita è l’amara conseguenza che ci fa pensare di essere sbagliati e falliti.

Nulla è più bello dei nostri desideri. E nulla da più serenità se non il riuscire ad essere chi vogliamo.

Per conoscerci ci vuole un atto di coraggio. E per sapere a cosa aspiriamo bisogna innescare un processo mentale che non ammette scuse.

Si vive ancora spinti da dinamiche adolescenziali secondo cui se siamo uguali alla massa siamo forti. Quando si cresce la vera forza sta nella diversità delle proprie decisioni, belle o brutte.

Non possiamo vivere sperando di trovare la felicità guardando fuori. Le sfide più soddisfacenti derivano dal mettersi in gioco e stanare i propri buchi neri. E allora smetteremo di desiderare ciò che non possiamo ma avremo già trovato la chiave per tutto ciò che ci può rendere felici.

 

 

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