Quattro punti per capire che siamo da manicomio (di M.R.Scappaticci)

Maria Rita Scappaticci

Psicologa e blogger

di Maria Rita SCAPPATICCI
Psicologa e blogger

 

 

 

Il Professor Vittorino Andreoli ne ha parlato già qualche anno.

Psichiatra rinomatissimo e uomo di grande cultura ha inserito il nostro popolo nella lista dei malati di mente. Gravi.

Quattro i sintomi spiegati: fanno del nostro popolo una classe da rinchiudere senza attenuati ne giustificazioni.

Masochismo nascosto condito all’esibizionismo il primo punto.

Denso di significato, devastante dal punto di vista personale, significa che siamo portati ad esibire quello che non abbiamo pur di mostrare di essere migliori.

Vogliamo primeggiare in tutto quello che non ci appartiene, che non è nostro, a costo di sembrare ridicoli. E lo facciamo con invidia e cattiveria nei nostri confronti, spingendoci a ruoli che ci stanno scomodi e ci fanno mortificare.

Ma preferiamo sopportare l’umiliazione privata dentro di noi fino a giocarci la bile piuttosto che abbandonare le conquiste dell’altro per fare qualcosa di personale e di unico che appartiene solo a noi. E dove magari non avremmo rivali.

Non ci interessa l’obiettivo ci interessa la lotta, la conquista della supremazia a costo del nostro tempo e della nostra stessa personalità che non esiste più.

 

Il secondo punto nasce dal primo. L’individualismo spietato. Così definito dallo psichiatra.

Sintomo cattivo che mette in risalto un Io che deve primeggiare da solo, non considerando che si sta lottando per qualcuno che nella realtà non è mai esistito se non sotto mentite spoglie. E sotto abiti rubati ad altri.

L’Io che portiamo avanti è fasullo, fragile e poco rispettoso di se stesso. E’ destinato a perdere se si veste del proprio modo di essere perché a noi stessi suscita vergogna e paura.

 

Da qui il terzo sintomo che è la recita messa in atto sempre, ogni giorno, per essere qualcosa che non si è.

 

E poi in ultimo, il peggiore. La fede nel miracolo.

Ma non la credenza religiosa di chi si affida a Dio con le migliori intenzioni. Bensì la passività di chi aspetta che qualcosa cambi nascondendo le mani e sperando nella risoluzione della fortuna.

Lamentarsi, giudicare, brontolare, adirarsi con disprezzo verso l’altro e poi lasciare al vento le proprie azioni. Senza muovere un dito. O proporre un’idea che possa dare spunto per fare meglio.

 

Ebbene è un ritratto pessimo del nostro modo di (non) essere.

E tutto quello che manca in questa precisa diagnosi è la propria personalità. L’identità personale barattata per l’aderenza a sterili pregiudizi di massa. Il proprio sentire, il proprio essere messo al bando a favore di disgustose logiche che ci vogliono in un solo modo.

E allora tutti con lo sguardo basso cercando di giocarsi il primato del nulla. Tutti a pensare che esiste un solo modo per fare le cose.

Non sappiamo più chi siamo e cosa vogliamo perché siamo spinti all’agire solo da rivincite e ci stiamo rimettendo la nostra intelligenza.

Si, ha ragione il Professore. Siamo da manicomio.

 

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