Eric Bibb, il mito trattato come un cantante di paese (di L.Duro)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore


 
di Luciano DURO
Narratore e Sognatore

 
 

Eric Bibb sembra un ragazzino, eppure ha 66 anni ed una carriera alle spalle che lo ha portato on stage nei teatri e nei più prestigiosi festival del mondo, ha inciso più di 30 dischi, alcuni bellissimi.

Non è il classico bluesman proveniente dal Mississippi, non ha conosciuto la segregazione razziale.

E’ nato a New York, suo padre Leon era nel contempo attore e cantante folk e ha trasmesso al figlio la grande passione per i canti della tradizione, echi che si ripetono sempre nei suoi album. E’ un grande chitarrista e conosce il blues come pochi, appartiene a quella famiglia del country blues che ha avuto in “Mississippi John Hurt” il capostipite e dalla quale hanno attinto Taj Mahal e successivamente Keb’ Mo’ e Guy Davis.

È stato ospite per tre volte al Liri Blues, ricordo che nel 2000 i grandi festival italiani non lo conoscevano e non lo volevano. «Non fa biglietto», dicevano. Venne solo a Isola del Liri. Avevo ascoltato un paio di CD che mi avevano entusiasmato, ora è una star internazionale e gli è stato conferito un “Grammy Haward” .

Venne con un giorno di anticipo. Stabilì subito un rapporto cordiale con tutti, visitò la cascata e il castello insieme ai musicisti della band e sostò a lungo al bar a parlare con i ragazzi della piazza. Quando tornò nel 2003 era ormai un bluesman affermato, il pittore Giorgio Ranaldi gli regalò un dipinto che lo ritraeva sul ponte con lo sfondo della cascata, lo conserva con cura nel salotto di casa. E’ un amico che ammira la nostra città e il suo festival.

I concerti sono coinvolgenti, il suo “Fingerstyle” è un pizzicare le corde quasi a cercare le note giuste e la voce illustra storie con una espressività non comune. Il cantare è per lui un recitare, il timbro robusto ma chiaro, muta in ruvido ed aggressivo quando la storia assume toni drammatici. Non necessariamnete i suoi blues sono ancorati alle radici ma canta anche storie di tutti igiorni di un’America per lui divenuta invivibile, tanto da trasferirsi stabilmente a Stoccolma.

Averlo nel cast è un un grande privilegio e così tornò ancora una volta nel 2011, durante il soundcheck eseguì una personalissima ed insolita versione di “Angel” di Jimi Hendrix accompagnato dal basso e dal piano, davvero strano un brano del principe dei chitarristi dove non c’era la chitarra. E’ stato il più grande omaggio a Hendrix che io abbia mai ascoltato, fu intenso e commovente con quella voce che sembra una preghiera gospel, chiudeva con una citazione del bassista di “The Fool on the Hill“ dei Beatles che non compare nella versione incisa.

Non voleva eseguirla a sera durante il concerto, non gli sembrava adatta ad una piazza affollata, fui io stesso a convincerlo. Fu uno dei momenti magici ed indimenticabili vissuti dal popolo del “Liri Blues”.

A Eric dobbiamo delle scuse, nel 2016, la sua esibizione fu disturbata da fuochi d’artificio. Che vergogna! Lui che aveva portato la sua musica nel mondo, doveva venire ad Isola del Liri, la piccola città che amava, per subire una tale offesa. Smise di suonare, mi guardò perplesso, poi si rivolse con garbo al folto pubblico e aspettò che terminassero per riprendere il concerto, gran signore e grande uomo, altri sarebbero immediatamnete scesi dal palco per non salire più.

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