Pasquetta a San Sebastiano (di L.Duro)

Luciano Duro

Narratore e Sognatore


di Luciano DURO
Narratore e Sognatore

 

 

Ci si alzava la mattina presto per prendere un posto nel prato, che fosse anche in piano ed ombreggiato. Si doveva essere celeri perché la collina sarebbe stata affollata da famiglie che giungevano da tutta Isola. Era un appuntamento che si aspettava per un anno intero; una giornata da passare insieme piccoli e grandi.

Oggi i giovani, il giorno di Pasquetta, hanno altre opportunità. Escono in macchina e vanno al mare o in montagna. Con i voli low cost trascorrono il weekend all’estero. Le distanze non sono così insormontabili come allora. Ma per noi quella collina di San Sebastiano era la cima del mondo.

Lo zio Alfredo era incaricato di scegliere il posto. Noi arrivavamo qualche ora dopo, preferivamo a piedi nonostante le pesanti borse. Ricorderò sempre quella famiglia che arrivava in Vespa: la donna dietro, saldamente aggrappata ai fianchi del marito ed il bambino davanti, con lo sguardo da adulto, stretto tra le ginocchia del padre, insieme alla borsa con il pasto da consumare.

Qualche calcio al pallone, badando bene di non disturbare i vicini, poi una larga tovaglia sull’erba e si incominciava: il timballo, la pizza rustica, il pollo con peperoni ma anche l’abbacchio strapazzato con l’uovo, vino a volontà per i grandi, gassosa e spuma per i piccoli. Alla fine la torta di pan di spagna, cotta al forno sotto casa, farcita con crema e cioccolata e spruzzata con abbondante “Strega” e poi il caffè ancora caldo del thermos. Una grande abbuffata e tanto ridere! Il vino scorreva e alimentava l’allegria, abbatteva ogni residuo tabù, i maschi cantavano canzoni maliziose da “caserma” non propriamente adatte ai bambini che maliziosamente ascoltavano e per questo si alzava forte il rimprovero delle donne… “Osteria numero zero… ho visto un prete tutto nero… che con mille contorsioni … suona il piano coi coglioni… Dammela a me biondina, dammela a me biondà!”

E ancora con l’osteria numero 1 … numero 2 ed altre “amenità”, in un gioco domanda-risposta. Divenivano inarrestabili, fino a quando le donne facevano sparire ogni residuo di vino e raccattavano i piatti le pentole e i bicchieri sparsi nell’erba.

All’imbrunire quando si scendeva a piedi per tornare a casa era un momento di grande tristezza. Ii giorno dopo si doveva tornare a scuola o al lavoro. Qualcuno era incerto nei passi, barcollava alla ricerca di una comoda pietra per sedersi… aveva esagerato con il vino. La sera non restava che l’aroma della “limoncella”, per giorni appesa in cucina, che nessuno mangiava perché era acre e amarognola, ma che per tradizione si doveva comprare e “la n’serta” di castagne fissata ad un appiglio della credenza.

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