Aeroporto, le stronzate le faceva volare la Digos

Mettiamo subito le cose in chiaro. Nessuno ha detto «Sul caso Aeroporto le stronzate le ha fatte volare la Digos». Però lo ha fatto capire.

Il Senatore della Repubblica Francesco Scalia non ci sta: di fronte all’inchiesta del sostituto procuratore della Repubblica Adolfo Coletta  respinge le accuse ed avanza dubbi. Non contro il magistrato. Ma contro la Digos che ha condotto le indagini, scritto l’informativa, consegnato il rapporto alla Procura. Un rapporto con il quale lui e gli altri ex presidenti e direttori della Società Aeroporti di Frosinone (Giacomo D’Amico, Gabriele Picano, Alessandro Minotti), sono accusati di avere saputo benissimo già dal 2006 che quella struttura non si poteva realizzare ma di essere andati avanti lo stesso, sperperando così 3,5 milioni di euro tra stipendi, gettoni di presenza, consulenze, pranzi e progetti. Il che, per il Codice Penale, si chiama ‘peculato’.

Da quel fascicolo – secondo il Senatore – mancano una serie di cose: tutte quelle che avrebbero coinvolto anche l’ex presidente della Provincia Antonello Iannarilli. E non può essere né una svista né un caso.

Un passo alla volta. Guardiamo al rallentatore la conferenza stampa con cui Scalia ha spiegato la sua linea di difesa. Che in realtà è un’offensiva tutta all’attacco. I primi fotogrammi ce lo propongono all’interno della sala Riunioni nel suo studio di Frosinone. Siede ad un capo del lungo tavolo da 16 posti in legno scuro. Di fronte ha una serie di carte che non leggerà mai ma che è pronto a tirare fuori appena qualcuno dovesse mettere in dubbio quanto dice.

Rimettiamo a velocità normale, il tempo di un paio di frasi: «Ho assoluta fiducia nel sostituto procuratore Adolfo Coletta, si tratta di una persona perbene, già una volta ha chiesto l’archiviazione di un’inchiesta che mi riguardava nonostante fosse pronto a sollecitare il processo». E poi la prima stoccata «Ma se ad un magistrato viene consegnato un rapporto che è quantomeno parziale, mi sembra chiaro che venga indotto a formarsi un’opinione molto lontana da quella che è la realtà dei fatti». Togliamo l’audio: la mano sinistra trema, gli zigomi sono rossi, le vene sul collo sono gonfie.

Alziamo il volume. Comincia un’attacco ad ondate. Tutte contro la Digos e la sua indagine. Intanto il presupposto. «Sostengono che una mattina mi sarei svegliato ed avrei avuto l’idea di mettere su un aeroporto a Frosinone sperperando i soldi della Provincia». Esatto Senatore, ipotizzano questo. «False entrambe le cose: l’aeroporto era previsto in ben due leggi regionali, che hanno lo stesso valore di una legge nazionale; i soldi erano della Regione Lazio, noi li abbiamo solo anticipati, in base al metodo che ci ha consentito di realizzare scuole, strade, svincoli, viadotti. Iannarilli, che aspettava i soldi in cassa per iniziare le opere non ha mai realizzato nemmeno un gabinetto». Sui gabinetti di Iannarilli, nulla da obiettare; sui soldi, che fossero della Regione o della Provincia fa poca differenza perché è sempre denaro pubblico. Ma che ci fossero le due leggi regionali è un’evidenza. Uno a zero.

La seconda accusa è di avere saputo già dal 2006 che l’aeroporto tecnicamente era irrealizzabile. E’ allora che dalla montagna di documenti  esce il volume con gli Atti del Convegno presso l’Avvocatura Generale dello Stato. Anno 2007 . C’è scritto che l’esito dell’esame dei progetti era ancora segreto e conosciuto solo dal ministro. E non solo: Scalia è un fiume in piena e dice che l’aeroporto di Frosinone arrivò secondo in graduatoria dopo quello di Viterbo, si poteva fare eccome, al punto che la Regione Lazio previde in una norma lo scalo internazionale a Viterbo ed uno più piccolo a Frosinone. E la cosa era talmente concreta che si stava costituendo un pool di imprese per anticipare i soldi e avviare i lavori, in cambio della gestione dello scalo. Del pool facevano parte colossi della levatura di Finmeccanica e Baldassini Pontello.

Insomma: tutto chiarito? Tre a zero ed il caso è chiuso? Manco per niente.

 

«In questa vicenda aleggia un fantasma» dice il senatore. Ce l’ha con il suo successore Antonello Iannarilli e racconta: “quando uscirono le intercettazioni su Acea fu chiaro che io non avevo preso nemmeno un caffè con i vertici dell’azienda, le indagini hanno accertato che avevo agito nel modo migliore e nell’interesse della collettività. Invece Iannarilli ricattava uno degli amministratori di Acea dicendogli ‘O mi assumi questa persona o non sblocco nulla’, ha fatto un macello con le tariffe e ancora oggi stiamo pagando. Perché io sono finito sotto inchiesta per Acea e lui no?”

Ora il bis. Nell’informativa della Digos sull’aeroporto, Scalia denuncia che mancano le due leggi regionali in base alle quali ha agito, mancano gli atti ufficiali da cui risulta che nel 2007 nessuno sapeva se il progetto poteva passare o non, manca il fatto che si stava costituendo l’associazione d’imprese per fare il project financing.

E questo è niente. Una serie di spese fatte da Iannarilli sparisce e miracolosamente viene addebitata al presidente Giacomo D’Amico; quindi nessuno contesta a Iannarilli quelle spese.

C’è dell’altro. All’epoca esisteva una seconda società, chiamata AdF gestione, la presiedeva Scalia (gratis), aveva una dipendente part time; e quelle spese vengono messe nel conto del peculato dalla Digos. Quando Scalia se ne va, la società moltiplica i dipendenti fino a 5, fa spese: eppure – ora che assomiglia ad un carrozzone – sparisce letteralmente dalle indagini. Cancellata. E anche in questo caso nessuno contesta niente al presidente. Chi era il presidente? Antonello Iannarilli.

 

Scalia non lo dice. ma è chiaro che secondo lui le stronzate le faceva volare la Digos.

L’unico che può salire sulla torre di controllo e dirlo adesso è il sostituto procuratore Adolfo Coletta.

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