L’assurdo cimitero dei rottamati che sta affondando la Ciociaria

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Il cimitero dei rottamati è affollato. I più ingombranti sono gli ultimi arrivati. Ci hanno portato l’ex sindaco Piergianni Fiorletta da Ferentino, da Veroli è arrivato l’ex sindaco Giuseppe D’Onorio, per lungo tempo (prima che la malattia poi lo portasse via) c’era stato anche Cesidio Casinelli che da sindaco di Sora era diventato deputato, da Pontecorvo ormai si sono dimenticati in quale lato hanno gettato Fernando D’Amata nonostante sia stato l’unico ciociaro a diventare assessore alla Sanità del Lazio, stesso destino per gente come Lino Diana che è stato parte dell’Intelligencija per almeno tre generazioni di politici, senza dimenticare l’ex sindaco e deputato comunista Danilo Collepardi, così come sta facendo la ruggine anche Angelo Picano al quale però è andata bene perché ha rischiato due volte il manicomio: da Sottosegretario quando propose al ministro delle Finanze l’idea di raccogliere soldi con una lotteria istantanea chiamata Gratta & Vinci, da Sottosegretario in un altro dicastero quando – nei primi anni Novanta – proponeva di cablare l’area industriale del Cassinate. Hanno provato a gettarci anche Memmo Marzi ma l’ex sindaco di Frosinone ha dimostrato che l’idea era quantomeno prematura, Peppe Patrizi ce lo hanno sistemato più volte ma lui riciccia peggio della gramigna. E ora si prepara uno spazio per un’altro ingombrante come Alfredo Pallone.

Guardando bene tutti questi ‘rottami’ della politica c’è un dubbio che assale: forse il principio della rottamazione è sbagliato. Con molta probabilità è stato applicato con la precipitosa fretta che in Ciociaria si usa solo quando conviene: occorreva liberare gli spazi per occuparli di nuovo con altri nomi, ma forse si è gettato il bambino insieme all’acqua sporca.

Che sostanza possono avere dei Partiti nei quali non c’è il contributo di idee portato da chi ha amministrato bene durante il suo mandato? Senza essere rimasto inzaccherato da nemmeno uno schizzo di fango? Onorando il mandato popolare espresso con il voto? La mancanza di idee che sta portando il territorio della provincia di Frosinone alla nullità assoluta, tanto da progettare una volta la sua fusione con Latina ed un’altra con la Campania, non preoccupa per niente i principali Partiti e MoVimenti che rappresentano i Ciociari lì dove si decide: nelle sezioni si dibatte su quale cordata debba conquistare la leaderhip, nei meetUp si sbatte sulla tastiera alla ricerca del nemico di turno del quale parlare male.

Mentre vecchi e nuovi della politica discutono, la provincia di Frosinone è diventata solo un pezzo di terra tra Roma ed il Casertano, ciò che ebbe a dire un tempo il cancelliere Klemens von Metternich a proposito dell’Italia: parafrasandolo possiamo dire che «La provincia di Frosinone è ormai solo una espressione geografica, una qualificazione che riguarda il dialetto che vi si parla, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi tendono ad imprimerle».

Se non siamo stati cancellati dalle carte geografiche che contano lo si deve a due persone: Maurizio Stirpe che ha portato nella massima serie la squadra di calcio di questo territorio, Sergio Marchionne che ha scommesso sullo stabilimento di Cassino per realizzare la macchina alla quale affidare tutte le chance di rilancio mondiale del gruppo. Entrambi però, anziché rottamare per la moda di farlo, invece di gettare nella fogna acqua sporca e bebè, si sono appoggiati su qualcosa che veniva dal passato. Il presidente del gruppo industriale Prima ha costruito il successo del Frosinone Calcio su un concetto di managerialità, rigore morale, decoro imprenditoriale e personale, che gli derivano dall’insegnamento familiare che fu del cavaliere Benito Stirpe: uno di quelli che ricostruì l’Italia. Il manager italo – canadese con residenza fiscale in Svizzera ha costruito la sua scommessa a Piedimonte San Germano basandosi sulla presenza di uno stabilimento che Giulio Andreotti scippò con abilità e lungimiranza al suo collega di Partito Remo Gaspari il quale aveva già convinto Gianni Agnelli a costruirlo in Abruzzo; i camion passeranno sull’autostrada che collega Cassino con Napoli (ed arriveranno in un attimo a Pomigliano d’Arco dove c’è a solo 98 km l’altro plant del gruppo senza il quale l’operazione non sarebbe stata conveniente) solo grazie al senatore Cesare Augusto Fanelli da Frosinone che un giorno si presentò con 80mila tessere democristiane da Amintore Fanfani e gli disse «Se l’Autostrada del Sole passerà per Latina, tutti questi se ne andranno dalla Democrazia Cristiana ed io me ne andrò insieme a loro» ed il progetto venne ridisegnato.

Ma questa è gente che, ai tempi di oggi, avremmo già rottamato.

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