D’Amico cucina la politica: «Basta con questi bolliti che non fanno bene al territorio»

Se li è cucinati tutti: un po’ sulla graticola, un po’ sul carrello dei bolliti, un altro poco li ha fatti a fuoco lento. Guido D’Amico, presidente nazionale di Confimprese Italia (60.000 associati, oltre un milione di addetti, 19 sedi regionali e 78 provinciali) indossa i panni dello chef della politica.

Si comincia con i bolliti: i politici che non stanno dando risposte alle imprese, alle loro richieste, al territorio. «Registro il silenzio assordante di certa classe politica. Il “male oscuro” della Ciociaria è questa incapacità di mobilitarsi, di fare squadra, perfino di crederci. Altrove lo fanno e raggiungono dei risultati».

E’ un piatto fin troppo facile quello a base di politici inefficienti e incapaci, il palato ci ha già fatto l’abitudine. Ma il sapore cambia se si mette anche un pizzico di peperoncino e si getta tra i bolliti pure un altro ingrediente: una parte dell’imprenditoria, in particolare quella che si autoconsidera l’élite. Lo chef D’Amico non ha timore di osare: «L’Accordo di Programma è stato un flop senza precedenti. Va archiviato e ne va concepito un altro calibrato sulle piccole e medie imprese». E’ un piatto amaro quello che presenta ai suoi amici di Unindustria, a Marcello Pigliacelli di cui è il vice in Camera di Commercio, alle altre organizzazioni che lo hanno seguito nella messa a punto del documento con cui sono stati intercettati pacchi di milioni di euro per il rilancio dell’industria nel territorio nord della Ciociaria. Ma destinati solo alle multinazionali, tenendo fuori migliaia di piccole e medie imprese «E non ci si venga a dire che era possibile consorziarsi, mettendo insieme le imprese che operano nella stessa filiera: sarebbe una balla colossale, un insulto all’intelligenza di decine di imprenditori. Perché? Il Ministero ha impiegato sette mesi per mettere a punto il bando con cui concorrere per avere quei finanziamenti ed ha concesso alle imprese trenta giorni per leggerlo, comprenderlo, sviluppare i progetti, estrarre i documenti, consegnarli: abbiamo piccole imprese ma questo non significa che abbiamo cervelli piccoli».

A due passi dal vapore che cucina le pietanze c’è una piastra che si arroventa e si prepara alla cottura lenta. E la politica torna protagonista. «E’ ora che i politici che pretendono di governare il territorio sul quale operano le nostre imprese si decidano a dire una buona volta la verità. Basta con le prese in giro. Innanzitutto sulle infrastrutture: ci vogliono dire se ci sono le risorse economiche per realizzare il collegamento Tirreno – Adriatico? Se hanno idea di dove andare a prendere i soldi per costruire il collegamento tra la Ferentino-Frosinone-Sora e la Sora-Avezzano? Ci sono i soldi per la manutenzione di una viabilità stradale, soprattutto nelle aree industriali come Fiat Chrysler e tutto il suo indotto? Marchionne, a Piedimonte San Germano, in due anni ha smontato uno stabilimento e ne ha costruito un altro, senza fermare nemmeno per un giorno la produzione di Giulietta: fuori da quel plant non si è capaci di dire se e quando sarà possibile adeguare le strade a quella sfida industriale di portata storica, se c’è la possibilità concreta di fare un casello. Ci sono le volontà per investire davvero nella banda larga e nella fibra ottica, utilizzando virtuosamente il fatto che queste “linee” corrono parallela mente all’autostrada? Il grado di competitività di un territorio si misura dalle infrastrutture materiali ma anche da quelle immateriali. Qui siamo arrivati all’era delle stampanti 3D ma questo territorio sta in mano a gente che ha difficoltà a controllare le mail sul computer.  Da anni sentiamo promesse da… marinaio. Basta!

Su un altro fornello, l’olio inizia a scaldarsi e l’aglio si sta dorando: è il momento della frittura. «I grandi gruppi, ma anche le piccole e medie aziende che dovevano investire sul territorio. L’esempio più clamoroso è quello di Amazon e Fastweb, ma ce ne sono a centinaia. La domanda che dobbiamo porci è: perché vanno altrove, per esempio a Rieti? Vanno altrove perché altrove hanno condizioni migliori». Più che una frittura, sembra una frittata.

La ricetta di chef D’Amico punta su tre parole: “Zona economica speciale” , aree dove far crescere nuove imprese esonerandole per un certo periodo dal pagamento di qualsiasi tassa. Restando in tema gastronomico è una minestrina riscaldata: il primo a metterla sul fornello fu Romano Prodi, poi ci provò Silvio Berlusconi. Sta lì da vent’anni ma nessuno ha acceso la fiamma per tantissimo tempo e quando è stato fatto non è stata alzata abbastanza per raggiungere il punto di ebollizione. Risultato: nei giorni scorsi il deputato Nazzareno Pilozzi ha annunciato urbi et orbi da teleuniverso che  stanno per arrivare i soldi progettati vent’anni fa per quelle che all’epoca vennero chiamate Zone Franche Urbane. In Ciociaria è prevista a Sora.

Ma chef D’Amico è convinto che il piatto possa essere reinventato, adattato ai tempi «O rendiamo “appetibile” il territorio o non andiamo da nessuna parte, facciamo sistema tutti, con Asi e Cosilam a fare da battistrada. Confimprese è pronta a fare la propria parte in un contesto di sinergia, ma se non arriveranno risposte, chiederemo al mondo associativo, sindacale ed imprenditoriale di colmare un vuoto che rischia di trascinare a fondo definitivamente questo territorio».

Tra i tanti ingredienti presenti nella dispensa ce n’è uno che rifiuta di utilizzare: i lavoratori della Vertenza Frusinate. «A loro vanno date delle risposte. Basta con le prese in giro, basta con l’effetto annuncio che si esaurisce senza che mai venga seguito da un fatto concreto. Dietro quei lavoratori ci sono famiglie allo stremo e storie di disperazione. Meritano il rispetto della verità e interventi immediati».

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