«Io credo nelle promesse di Zingaretti»

Alessioporcu.it – Presidente D’Amico, sinceramente lei è convinto di tutti i finanziamenti annunciati da Zingaretti?
Guido D’Amico – «Direttore, non mi sottraggo alla provocatorietà della sua domanda. Partendo dai fatti però. La Regione Lazio in questi anni ha pagato 8,7 miliardi di debiti a enti locali e imprese. In provincia di Frosinone ha corrisposto 241 milioni di euro a Provincia e Comuni e 185,5 milioni di euro alla Asl. I tempi di pagamento sono stati ridotti: da 255 a 60 giorni per il settore sanitario, da 1000 a 355 giorni per il settore non sanitario. E con la fattura elettronica la media è di 34 giorni».

Però, ha studiato.
«Voglio semplicemente dire che l’azione del Governo Zingaretti è reale. La nuova programmazione unitaria del periodo 2014-2020 si basa su numeri e fatti: 3,3 miliardi di euro e 45 azioni cardine. C’è effettivamente la possibilità di intervenire su scuola, casa, sanità, lavoro, teatri, efficientamento energetico, banda ultralarga, assetto idrogeologico. Il problema vero è un altro».

E cioè?
«I finanziamenti europei sono oggi l’unica vera risorsa alla quale i Comuni e gli enti locali possono attingere. Ma non vengono distribuiti a pioggia. C’è bisogno di mettere in campo e di presentare dei progetti concreti, dettagliati, indicando dove attingere le risorse e come, stabilendo un crono programma. C’è bisogno cioè di affidarsi a concetti come il merito e la competenza. La vera rivoluzione copernicana è questa. Quando Zingaretti dice che vuole ricollocare il Lazio nella sua vocazione europea intende proprio questo. Perché la Regione e i Comuni dovranno competere non solo in Italia, ma in Europa».

La provincia di Frosinone sarà all’altezza?
«Se non lo sarà, verrà tagliata fuori dalle rotte dello sviluppo. Certamente bisogna cambiare passo. Basta con gli annunci, basta con il nascondino, basta con le guerre fratricide. Le emergenze sono tre. La prima è il lavoro: i rappresentanti della Vertenza Frusinate hanno posto un problema reale a Zingaretti: a giugno migliaia di persone non avranno più neppure gli ammortizzatori. Servono risposte vere, non annunci. La seconda emergenza è la sanità: la situazione è sotto gli occhi di tutti, il territorio non può rimanere a guardare. Occorre uno scatto. La terza emergenza è l’ambiente: stesso discorso. Il bivio è semplice: la politica, le associazioni di categoria, i sindacati, i sindaci, tutti quanti, cosa intendono fare? Restare a guardare o mettersi in discussione?»

Nel concreto cosa suggerisce?
«Abbiamo già chiesto alla Provincia di farsi promotore dell’attivazione di un tavolo di confronto sul tema delle zone economiche. Il riconoscimento di “zona economica speciale” consentirebbe sgravi fiscali ed incentivi, dando la possibilità di investire ed assumere. Si tratta di cose concrete.
Qui non si tratta di inventarsi niente. La Zes (zona economica speciale) ha fatto la fortuna (letteralmente) di Paesi come la Russia, la Cina, la Polonia. Dove addirittura sono state previste delle regioni geografiche dotate di una legislazione economica differente dalla legislazione in atto nella nazione di appartenenza. Attraendo maggiori investimenti stranieri. Qui si tratterebbe di prevedere questa opzione in territori, come la Ciociaria, massacrati dalla crisi, che ha prodotto chiusura di aziende e perdita di posti di lavoro. Perché altrove si può fare e qui no? Dobbiamo crederci. Il discorso va di pari passo con il riconoscimento di molte zone della Ciociaria come aree di crisi. Ci sono decine di incompiute, a cominciare dalle aree dove dovevano sorgere aeroporto e interporto. Perché non pensare a soluzioni di questo tipo. Ma bisogna essere chiari: o la classe dirigente di questo territorio si rende conto davvero che industria e commercio vanno sostenuti o non si va da nessuna parte. Soltanto dal rilancio del sistema imprenditoriali posso nascere posti di lavoro. Non ci sono altre strade».

E se si continua a perdere tempo?
«Il processo di desertificazione del territorio è già in atto: centinaia di aziende hanno chiuso, migliaia di posti di lavoro sono stati persi, i giovani se ne vanno. Cosa deve succedere ancora? La Regione può essere un interlocutore importante, ma la classe dirigente locale (penso anche a quella dei Consorzi Industriali) deve rimboccarsi le maniche. Ai territori servono fatti, non giochi di potere».

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