8 donne per l’8 marzo: «Coraggio»

Ciociaria, donne e... politica, sanità, industria, sindacato, polizia e volontariato. Otto tasselli del puzzle provinciale: Federica Aceto, Sara Battisti, Valentina Cambone, Luciana Cardarelli, Miriam Diurni, Eleonora Di Giulio, Patrizia Palombo e Anita Tarquini. Otto tasselli per il cambiamento generale

Marco Barzelli

Veni, vidi, scripsi

8 donne per l’8 marzo: Federica Aceto, Sara Battisti, Valentina Cambone, Luciana Cardarelli, Miriam Diurni, Eleonora Di Giulio, Patrizia Palombo e Anita Tarquini. Si parte, in ordine alfabetico, con un ABC della Politica: Aceto, vicesindaco di Ceccano e dirigente provinciale di FdI; Battisti, consigliera e vicesegretario regionale del PD; Cambone sindaca di Colle San Magno e vicepresidente della Provincia di Frosinone.

Seguono le Forze dell’ordine: Cardarelli, ispettore di Polizia, oggi responsabile Urp e addetta stampa della Questura. A ruota l’Industria: Diurni, presidente provinciale di Unindustria, l’Unione degli industriali e delle imprese. Non può mancare la Sanità: Di Giulio, direttrice amministrativa della Asl. C’è poi il Volontariato: Palombo, presidente dell’associazione Telefono Rosa Frosinone – Regione Lazio Odv. Chiude, non da ultimo, il Sindacato: Tarquini, rieletta segretaria provinciale della Uil e neo presidente del comitato provinciale dell’Inps.

Federica Aceto, la più votata di Ceccano, è vicesindaco in uno dei cinque Comuni ciociari più popolosi: dove i primi cittadini, manco a dirlo, sono tutti uomini. È ancora così, d’altronde, in ottantatré dei novantuno centri della provincia di Frosinone. Valentina Cambone, la prima donna vicepresidente della Provincia nei 97 anni di esistenza dell’ente, è una delle sole otto sindache elette o rielette in Ciociaria nelle ultime tornate elettorali.

Nel mezzo, passando alla Regione, l’appena riconfermata consigliera regionale Sara Battisti è risultata la prima eletta nella circoscrizione di Frosinone e provincia. Prima pure se si guarda al rapporto tra numero di abitanti e voti presi, anche nel Lazio.

Politica e tanto altro

Ripassando alla Ciociaria, anche se lo definiscono sesso debole, una volta Luciana Cardarelli si è fatta più di cinquanta chilometri, da Trecate (Novara) a Milano, con un gomito rotto in sella alla moto Bmw della Polizia: che pesa quasi trecento chili. Era caduta dalla moto e si era fratturata, ma si è rimessa in sella: con tanto orgoglio quanto dolore, scortata da altri agenti.

Per non parlare, data la proverbiale emotività delle donne, di quando il suo compagno e collega si è tuffato nel Tevere. «Il collega – ha sentito dire via radio – si è buttato in acqua per recuperare la donna che sta annegando». Proprio lei, con il cuore in gola ma tanto sangue freddo, ha gestito la macchina dei soccorsi.

Eleonora Di Giulio era già direttrice amministrativa della Asl nel trio tutto al femminile guidato dalla manager Pierpaola D’Alessandro. Ora è l’unica donna nella direzione strategica dell’Azienda sanitaria ciociara. Come nell’universo di Unindustria, del resto, Diurni è l’unica donna presidente di area territoriale: l’unica a livello regionale.

Si arriva così fino alla sfera dei sindacati: lungo il percorso che ha portato Anita Tarquini a diventare l’unica donna segretario generale della Uil nel Lazio, l’unica leader sindacale a livello provinciale, di recente anche la prima presidente del Comitato Inps di Frosinone. Passando per il mondo del volontariato, incarnato da Patrizia Palombo: responsabile di una delle sette sedi italiane del Telefono Rosa. L’associazione provinciale di volontarie, attiva da quindici dal baricentro di Ceccano, guida ormai un vero e proprio Centro regionale antiviolenza e per l’orientamento delle donne.

Aceto: «Meloni e anti Meloni»

Federica Aceto, vicesindaco di Ceccano
Federica Aceto, che donna è diventata facendo politica?

«Mi sento un politico a prescindere dall’essere donna e sicuramente questa esperienza mi ha fatto crescere molto e maturare. Mi ha permesso di vedere la società da un’altra prospettiva. Durante questo percorso ho incontrato, conosciuto e avuto la possibilità di parlare con molte persone. Ognuna con caratteristiche e peculiarità diverse, tutte mi hanno lasciato qualcosa e spero anch’io di aver lasciato un qualcosa di buono in loro. Sono convinta che le donne abbiano una grande forza autonoma che deve essere liberata dai tabù e dagli ostacoli che le limitano. Incoraggio le donne a credere in sé stesse e a lavorare duro per raggiungere i loro obiettivi perché non ci sono limiti».

Lei sta nel Partito di Giorgia Meloni. Che rappresenta per lei?

«Giorgia Meloni rappresenta un esempio tangibile in politica del fatto che si possono raggiungere grandi risultati senza bisogno di quote, di spazi e steccati precostituiti. Questo Governo, peraltro, sta lavorando per far sì che l’occupazione femminile possa tornare a crescere. L’introduzione di un welfare a misura di famiglia e strumenti efficaci di conciliazione vita-lavoro sono un passo importante da compiere. Son tutti passaggi fondamentali per l’evolversi della società e non solo per la figura femminile».

Federica Aceto in Consiglio comunale
Cosa pensa, invece, di Elly Schlein prima donna segretario del PD?

«Penso sia stata un’elezione che ha avuto come sentimento alla base, sia del Partito che degli elettori, quello di creare l’anti-Meloni. Dopo che il centrosinistra si è reso conto di essere stato “scavalcato” nei fatti per quanto riguarda uno dei loro “presunti” cavalli di battaglia, la parità di genere. Purtroppo il fatto è che il primo presidente del Consiglio donna è stato eletto in quota Centrodestra. Ormai è scritto in maniera indelebile nella storia della Repubblica italiana. E non c’è niente che possano fare per redimersi da questo. Le auguro buon lavoro con l’auspicio generale che in questa società ed in questo ambiente, si comincino a fare commenti meno incentrati sull’aspetto fisico e più sulla sostanza».

Qual è il suo personalissimo messaggio per l’8 marzo?

«Per la Giornata internazionale della donna quello che posso augurare a tutti noi, e non solo alle donne, non è altro che il superamento di queste barriere che ci rendono ancora emarginate. Auspico nel più breve tempo possibile di vivere in una società meritocratica che premi la persona che merita indipendentemente dagli steccati di genere. Sono per esempio una delle criticità delle quote rosa, che ci inseriscono in spazi delineati, distinti».

Battisti: «Si lotta per la libertà»

Sara Battisti, consigliera e vicesegretaria regionale del PD
Sara Battisti, che donna è diventata facendo politica?

«Ho iniziato a fare politica da giovanissima e ciò mi ha consentito di arricchire il mio bagaglio culturale e di conoscenze avendo avuto sin da subito ruoli di responsabilità, nell’organizzazione giovanile prima e nel partito poi. Questo ha determinato, forse, il non godermi fino in fondo una parte della giovinezza rispetto alla sfera personale. Ma non rimpiango nulla, anzi sono grata. La politica mi ha fatto diventare una donna sicuramente più determinata. Ogni ruolo l’ho esercitato pensando proprio al messaggio che avrei potuto restituire alle altre donne, soprattutto alle bambine e alle ragazze».

Lei è stata tante volte la “prima donna” nel suo Partito. Cosa dice alle donne?

«Per me è stato un onore essere la prima donna in questa provincia a ricoprire un incarico nazionale nell’organizzazione giovanile. Come lo è stato essere la prima donna a diventare segretario regionale della Giovanile e segretario del Pd provinciale, la prima donna a guidare la lista del Partito Democratico alle Regionali. Tutti questi primati indubbiamente li dedico a loro, alle donne. Devono essere consapevoli che non c’è alcun limite per una donna. È più difficile, senza dubbio. Ma con costanza, caparbietà e impegno, non c’è preclusione».

Sara Battisti
Sono tempi ormai di Meloni e Schlein, di donne al potere. Cosa si augura?

«Mi auguro che nei loro ruoli, seppur diversi, possano continuare il lavoro che abbiamo fatto nel Lazio durante il mandato di governo della Giunta Zingaretti. Un mandato fatto di bandi, opportunità di crescita, attenzione alle donne e alle necessità delle donne che prima venivano completamente dimenticate. Nei primi atti di Rocca e della Meloni questa attenzione manca, perciò è importante esercitare un’opposizione scrupolosa che indichi la strada che abbiamo tracciato, e non ci faccia tornare indietro. Noi possiamo tutto, ma nella misura in cui la società crei davvero pari condizioni e opportunità tra i due sessi».

Qual è il suo personalissimo messaggio per l’8 marzo?

«Ricordiamo il significato profondo di questa giornata, sempre più chiamata “festa” quando festa non è. La giornata internazionale è stata istituita grazie alle battaglie per l’emancipazione portate avanti nei primi anni del secolo scorso per rivendicare la partecipazione delle donne alla vita politica e per chiedere il suffragio universale. Nessuna donna dovrebbe dimenticare da dove veniamo: in Italia il diritto di voto è arrivato solo nel 1946, neanche 80 anni fa. Dobbiamo ricordarci che nessun diritto conquistato è acquisito, anzi va confermato giorno dopo giorno per non tornare indietro. Le donne nel mondo hanno dovuto lottare per acquisire diritti. Ancora oggi alcune culture li negano con la segregazione e la violenza, senza far vivere liberamente la propria esistenza. Per me questo 8 marzo è dedicato alla lotta per la libertà di tutte».

Cambone: «Donne, abbiate coraggio»

Valentina Cambone, sindaca di Colle San Magno e vicepresidente della Provincia di Frosinone
Valentina Cambone, che donna è diventata facendo politica?

«In realtà sono rimasta la donna che ero, ma è cambiata la mia vita. Ero una mamma avvocato, ora sono anche sindaco e vicepresidente della Provincia. Le ore sembrano non bastare mai, quindi mi sveglio alle cinque del mattino. Una volta riorganizzata la mia vita, sono andata avanti spedita. Ormai la mia vita è essere in ogni istante il sindaco di Colle San Magno. Non ho orari di ricevimento, c’è un rapporto costante e diretto con i miei seicentocinquanta concittadini. Chi vuole può venire a casa. C’è un’estrema fiducia nei miei confronti, soprattutto da parte degli anziani. C’è l’idea che un avvocato, oltretutto sindaco, sappia tutto e abbia la risposta per qualsiasi domanda».

Avvocato di professione, che aria tira?

«Il mondo dell’avvocatura è fatto ormai di tantissime donne, ma fino a qualche anno fa non era così. Del resto gli uomini vengono chiamati avvocati sin dall’università, le donne invece dottoresse. Come per la terminologia sindaco/sindaca, per me in fondo ininfluente. Ma in Provincia mi hanno chiesto se volessi farmi chiamare “il” o “la” vicepresidente, e preferisco la declinazione al femminile. Deve essere percepita come normale. Quando ho vinto le Elezioni, tante ragazzine mi hanno detto che da grande vogliono fare la sindaca, fino a quel momento era qualcosa di impensabile».

Valentina Cambone
La prima Sindaca nel suo paese, la prima Vicepresidente della Provincia. Cosa si prova?

«Sono contenta perché sono riuscita a mettere un tassello pur infinitesimale nel cambiamento generale. La piccola Colle San Magno ha dimostrato una grande apertura mentale. Dopo trent’anni con la stessa amministrazione, esclusivamente ad appannaggio maschile, è un grande cambiamento. Anche per il fatto di essere diventata sindaca a trentanove anni, unendo il fattore femminile alla giovane età. Se vuoi, puoi. Dal palco, durante la campagna elettorale, il mio avversario politico disse che sono soltanto apparenza. Non succederebbe mai a un uomo. Io non mi vergono di certo di truccarmi e voler apparire una bella donna. Sono felice di essere anche altro».

Qual è il suo personalissimo messaggio per l’8 marzo?

«Alle donne dico di buttarsi, di avere coraggio. Ma non devono essere necessariamente buttate avanti delle donne in quanto tali. Le quote rosa non devono rappresentare un mezzo fine a sé stesso ma quello per arrivare alla vera parità tra uomini e donne. Che sia la Giornata dei diritti della donna, non la sua “festa”. Si ricordino sempre le conquiste in ambito sociale e politico, perché ci sono donne che hanno combattuto per conquistare quei diritti. Il vero cambiamento? Quando una donna sindaco o vicepresidente, se non presidente, non farà più notizia».

Cardarelli: «Mai tirata indietro»

Luciana Cardarelli, ispettore di Polizia e addetta stampa della Questura di Frosinone
Luciana Cardarelli, che donna è diventata facendo la poliziotta?

«Quando per la prima volta ho indossato l’uniforme della Polizia di Stato avevo appena compiuto 20 anni e non avevo ancora la piena consapevolezza di cosa questo comportasse. Non posso dire che donna sono diventata essendo una poliziotta e che poliziotta sono essendo donna, perché quando si indossa un’uniforme non la si smette mai, nemmeno quando si termina il proprio orario lavorativo. Nel tempo ho vissuto una evoluzione che mi ha reso una donna polizotto e lo sono h24. Questa professione necessariamente ti fa guardare tutto con sguardo più critico e ti pone sulle spalle delle responsabilità che entrano a far parte del tuo modo di essere».

C’è un momento in cui è semplicemente donna?

«Quando compio le mie azioni quotidiane, non dimentico mai di essere una poliziotta. Quando insegno ai miei figli il rispetto delle regole, faccio notare loro che sono io la prima ad osservarle e che noi poliziotti siamo chiamati a far rispettare le leggi. Negli anni ho raggiunto una consapevolezza rispetto al mio ruolo nella società, che naturalmente mi porta a comportarmi con rettitudine, impegno e rispetto verso il prossimo. Non nascondo certamente le difficoltà che essere donna e madre comporta in una società dove fa ancora notizia la recente elezione di Margherita Cassano a Primo Presidente della Corte di Cassazione. Nonché gli ostacoli che certi pregiudizi mai superati mi hanno parato davanti. Tuttavia, oggi posso dire con fierezza di aver ampiamente dimostrato le mie capacità e di non essermi mai tirata indietro davanti a niente». 

Il Tevere, al centro di un aneddoto dell’ispettore Cardarelli
La famiglia, ma quella volta che ha sentito «il collega si è buttato in acqua»?

«Ho riconosciuto subito la voce, era quella del collega di pattuglia del mio compagno. Mi si è fermato il cuore in gola. Gianluca si era buttato in acqua, ma io non potevo perdere la calma e dovevo coordinare le operazioni di soccorso. L’ho fatto con freddezza e lucidità, ma in cuor mio pregavo Dio che proteggesse Gianluca e lo facesse tornare da me. Oggi abbiamo due splendidi figli di 4 e 7 anni e ancora siamo in contatto con la donna che è stata salvata. Determinazione, consapevolezza dei mezzi e delle capacità, tenacia e anche quel pizzico di testardaggine che mi contraddistingue mi hanno portato dove oggi sono e ne sono profondamente orgogliosa, perché ci sono arrivata con le mie forze e col sostegno della mia famiglia».

Qual è il suo personalissimo messaggio per l’8 marzo?

«Mi rivolgo alle giovani donne. Oggi ci sono luoghi, neanche troppo lontani da noi, dove le bambine vengono avvelenate mentre sono a scuola. Colpevoli solo di voler studiare. Vivono in paesi i cui governi negano alle donne qualsivoglia diritto, relegandole ai margini della società. Voi che ne avete l’opportunità, che vivete in una società democratica e civile, che rispetta l’individuo nella sua interezza, sfruttate ogni chance che vi è concessa al meglio delle vostre possibilità. Non date nulla per scontato mai, impegnatevi e vedrete che i vostri sacrifici saranno ampiamente ripagati. Nulla cade dal cielo, gli artefici delle nostre fortune siamo prima di tutto noi stessi. Guardate al futuro con speranza».

Diurni: «Si può fare il lavoro di papà»

Miriam Diurni, presidente di Unindustria Frosinone
Miriam Diurni, che donna è diventata facendo l’industriale?

«Io, tra l’altro, non volevo farla nemmeno l’industriale. Volevo fare la giornalista, ho fatto tutt’altro percorso di studi tra lettere, cinema e teatro. Una volta laureata, in una mia mini crisi personale, mio padre mi ha detto di provare in azienda: un’infarinatura di tutto per vedere se mi piaceva. Ho fatto la segretaria, le fotocopie, molta gavetta. Alla fine mi è piaciuto. E caratterialmente mi ha cambiato. Mi ha fatto diventare più pratica e dura. Ero una ragazza di famiglia benestante in un mondo predominato da uomini. Neanche in azienda pensavano che potessi prenderne un giorno le redini, ma alla fine sono diventata presidente del Consiglio di amministrazione».

A che punto siamo, secondo lei, con la parità di genere?

«Ancora non ci siamo. La stessa Confindustria è un mondo ancora dominato dagli uomini. Le donne che ci sono, sì, sono profondamente ascoltate e rispettate. Deprime un po’ però alzarsi in Consiglio generale e vedere ancora pochissime donne. In generale, quindi, bisogna assolutamente continuare a parlare di parità di genere nella consapevolezza che non è stata raggiunta. Io sono stata nominata all’unanimità, quindi non sono una quota rosa. È stato il riconoscimento del lavoro degli anni precedenti, è qualcosa che mi sono conquistata. Le donne sono state educate a mettersi da parte, a fare un passo di lato. È una questione culturale. La direttrice provinciale è una donna, ma non sta lì per quello, è perché funzioniamo bene insieme».

Miriam Diurni
Lavoro, incarichi, famiglia. Come si trova la 25esima ora?

«Dandosi delle priorità, a partire dai figli, grazie a un’ottima collaborazione familiare e un compagno che non ti lasciare fare tutto da sola. Per me il compleanno dell’amichetto di mio figlio è una cosa importante, può darsi che mi chiamino durante la giornata e sentano lo schiamazzo dei bambini. Pazienza se a volte, invece di parlare con le mamme, sono al telefono per lavoro. Ho una figlia di quindici anni e un figlio che ne ha dieci. A mia figlia dico sempre di non sentirsi mai inferiore a nessuno per qualsivoglia motivo, tantomeno per il fatto di non essere un uomo bensì una donna. È fondamentale l’esempio. Le ragazze devono vedere donne che fanno le cose, che hanno ruoli importanti. E devono vedere anche il papà che cucina, prepara la lavastoviglie e li accompagna a scuola».

Qual è il suo personalissimo messaggio per l’8 marzo?

«La Giornata ci vuole perché serve a sensibilizzare, ma dobbiamo iniziare a pensare alle pari opportunità per le persone: uomini e donne, tutti. Oggi c’è carenza delle più svariate figure professionali. Al Lazio servirebbe il 70% di ingegneri in più. Lì in mezzo c’è almeno un quaranta percento di donne che non studiano materie scientifiche perché sin da piccole hanno ricevuto un messaggio sbagliato. È stato lanciato inconsciamente da tutti. Il pregiudizio agisce su tutti noi ed è talmente radicato che serve una riflessione in più a tutti i livelli: politica, scuola, famiglie, media, chiunque abbia un ruolo nella società. Le bambine devono capire che possono fare quello che prima era solo il lavoro di papà».

Di Giulio: «Oggi nasceva mia madre»

Eleonora Di Giulio, direttrice amministrativa della Asl di Frosinone
Eleonora Di Giulio, che donna è diventata facendo la dirigente?

«Sono una professionista che si dedica molto al proprio lavoro. Ho un senso del dovere smisurato e un profondo rispetto per il posto che ricopro e per le responsabilità che sono connesse al mio ruolo. Mi piace molto lavorare nel pubblico e per questo ho deciso scientemente oramai ventisei anni fa di lavorare nella Pubblica Amministrazione».

È quello che avrebbe voluto fare nella vita?

«Questo lavoro coniuga perfettamente la mia passione per la gestione con quella per il sociale. Credo sia fondamentale nel lavoro associare la praticità e concretezza alla preparazione e professionalità, senza mai dimenticare il valore umano e l’empatia. Sono tutti requisiti senza i quali nessun manager riuscirebbe a raggiungere i propri risultati».

Eleonora Di Giulio
Cosa rappresenta per lei questa Giornata della donna?

«Questa data per me ha un duplice valore perché è la data di nascita di mia madre, che è morta oramai da 19 anni. Ed è proprio ai suoi comportamenti che ispiro il mio messaggio. Mia mamma era casalinga. Si era sposata molto giovane e non pensava affatto alla carriera. Era un tipo di donna, quindi, molto lontana da quello che sono diventata io. Ma proprio per questo mi piace ricordarla per quello che mi ha insegnato e per quello che io stessa cerco di testimoniare ogni giorno con il mio lavoro e la mia vita».

Qual è il suo personalissimo messaggio per l’8 marzo?

«Seguire le proprie aspirazioni, senza preoccuparsi degli stereotipi o delle indicazioni che la società ci impone e cercare di diventare quello che si è senza preoccuparsi dei giudizi altrui. È questo che direi alle altre donne in questa giornata: cercate di volervi bene, imparate a prendervi cura prima di tutto di voi stesse. Seguite la vostra strada senza paura delle conseguenze e dei giudizi. Sbagliate pure e perdonatevi per gli errori fatti. E soprattutto siate consapevoli della vostra forza e delle vostre debolezze, perché entrambi vi rendono ciò che siete».

Palombo: «Il silenzio rafforza il violento»

Patrizia Palombo, presidente del Telefono Rosa provinciale (Foto © Giornalisti Indipendenti / Ciociaria Oggi)
Patrizia Palombo, com’è cambiata la sua vita col Telefono Rosa?

«Nel 2008 presi una decisione in un attimo e ha cambiato molto la mia vita. La vita trascorreva tranquilla, sposata e con due figli, docente di scuola primaria. Un giorno seppi che il Telefono Rosa nazionale faceva un corso di formazione su violenza di genere e problematiche familiari. Intendevano aprire un nuovo centro antiviolenza nella provincia di Frosinone. Più della metà dei miei alunni aveva famiglie separate, molte mamme mi chiedevano consigli sul da farsi. Decisi di fare il corso assieme a tante altre donne. Alla fine ci chiesero di votare una presidente e, non so come, mi ritrovai eletta».

Combattete ogni sorta di violenza contro donne e minori. Che donna è diventata?

«Non sono più solo madre, moglie, insegnante, sono una donna che combatte ogni tipologia di sopruso nei confronti di donne e minori vittime di violenza. Non sono però una femminista, lotto per la parità di genere. Nella professione di docente, ho messo in primo piano l’educazione all’affettività, al rispetto l’uno dell’altro. C’è necessità di costruire un ambiente inclusivo nella scuola, cioè adatto alla libera espressione di singolarità e talenti. Sono una donna che ha imparato a non tirarsi indietro davanti ai problemi e che combatte in prima persona per il raggiungimento degli obiettivi di pace, rispetto e uguaglianza tra tutti gli esseri viventi».      

Patrizia Palombo (Foto © Giornalisti Indipendenti / Ciociaria Oggi)
Che ne pensa della Giornata internazionale della donna? 

«È una data di grande importanza per ricordare le battaglie, le conquiste sociali, economiche e politiche e le vittorie che le donne hanno conseguito nel corso della storia, ma serve anche per mettere in evidenza le discriminazioni di cui le donne ancora oggi sono spesso vittime. in ogni parte del mondo. La strada verso la parità dei sessi rimane ancora lunga e tortuosa, tuttavia i progressi fatti nel mondo occidentale lasciano ben sperare che un giorno le donne di tutto il mondo possano finalmente avere gli stessi diritti dell’uomo e pari dignità e riconoscimento sociale. Purtroppo la stessa emancipazione non è avvenuta nel mondo islamico, in cui le donne sono ancora sottoposte all’autorità del padre, dei fratelli, del marito. Il loro corpo, considerato una tentazione diabolica per i credenti, è motivo di vergogna e per questo va velato».

Qual è il suo personalissimo messaggio per l’8 marzo?

«La donna non è solo donna e basta. È mamma, moglie, figlia, amica, compagna. Tutto questo spesso in una sola persona. La donna è un mondo. Siamo sorridenti e sempre pronte a rialzarci. Siamo un flusso in continuo divenire. Il nostro stile può cambiare, ma il nostro cuore è e resterà sempre quello. Vorrei solo dire alle donne che decidono di chiedere aiuto che possono rivolgersi ai centri anti violenza come il Telefono Rosa Frosinone della loro zona di residenza. Oppure possono chiamare il 1522, il numero attivato nel 2006 dal Dipartimento per le Pari Opportunità che sostiene dal 2009 anche le vittime di stalking. Ricordate, il silenzio rafforza il violento».

Tarquini: «Anche il potere economico è violenza»

Anita Tarquini, segretario generale della Uil Frosinone
Anita Tarquini, che donna è diventata facendo la sindacalista?

«Fare sindacato è dedicarsi alle persone che non hanno possibilità di rivendicare e difendere i propri diritti nella vita di tutti i giorni. Non a caso “sindacato”, come “sindaco”, deriva dal greco Sin e Dike, Insieme e Giustizia. Non c’è stato un momento in cui la donna e la sindacalista si sono scisse, ho fatto da sempre sindacato, anche se non ne ero consapevole. Da bambina osservavo atteggiamenti differenti nelle persone, predicavano il bene senza seguito concreto. Crescendo, ho capito che portare un piatto di minestra a chi non l’aveva, era l’unica azione possibile ma non la migliore. Fondamentale era agire affinché queste persone fossero nella condizione non di sopravvivere ma di vivere degnamente del proprio lavoro».

Che sindacalista è diventata, invece, essendo donna?

«Ho trovato un sindacato che mi si confacesse. Stare nel mondo prettamente maschile di vent’anni fa non è stato facile. Non è stato facile conciliare impegni familiari con lavoro e attività di sindacalista, ma quando si crede veramente in qualcosa ci si organizza al meglio. C’è l’insicurezza di base della donna, il suo eterno senso di inadeguatezza che anch’io mi portavo dentro come retaggio di un’educazione in cui si rappresentava sempre dipendente da qualcuno. Mi ha influenzato facendomi raggiungere una certa sicurezza solo dopo un po’ di tempo. Ho provato rabbia verso atteggiamenti discriminatori, ma come semplice sfogo non è costruttiva. Va trasformata in voglia di cambiare le cose, che ci sia equità in tutti i campi».

Anita Tarquini
Lei è una mosca bianca nel Sindacato. Come ci è riuscita?

«Bisogna volere bene alla persona che si è, capire che non ci devono essere distinzioni né di genere né di altra natura. Io ho fatto un percorso di studi che dal Liceo classico mi ha portato ad Ingegneria già nel 1995, contro il parere di tutti e con molti sacrifici. Perché anche in questo caso ho dovuto conciliare famiglia, lavoro e studio. Oggi i giovani hanno molte più possibilità di affrontare studi confacenti alle loro inclinazioni, di crearsi una cultura che apra loro le menti per cui capiscano che studiare, leggere ci fa persone più forti. E per le donne è ancora più importante. Le istituzioni devono fare ancora tanto, devono creare uno Stato sociale per garantire una vita serena con strutture adatte ai bambini e ai fragili, affinché la cura e la compagnia non siano lasciate ancora lasciate quasi esclusivamente alle donne».

Qual è il suo personalissimo messaggio per l’8 marzo?

«Vorrei far capire a tutte le bambine, ragazze, donne, persone che la violenza non è rappresentata solo dalle botte. È anche esercitare il potere economico, impedire che si abbia un’indipendenza di pensiero, di scelta, di realizzazione come persona. Molto frequente è il lavoro nero delle donne: senza un contratto, senza diritti, con la “giustificazione” che in famiglia si pagherebbero più tasse. Non si spiega che non hanno contribuzione non avranno mai una pensione decente. Serve, quindi, un’informazione ancora più capillare sui diritti e sulla necessità di esercitarli. Vorrei che fosse sempre ben impresso nella mente di tutti l’articolo 16 della Dichiarazione di Pechino, una piattaforma d’azione per la parità di genere di ben 28 anni fa».

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