Mirko, l’umile soldato che per amore vuole farsi generale

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Fabio Cortina

di FABIO CORTINA
Giornalaio e Uomo Ancora su Teleuniverso

 

 

Ha la faccia da bimbo e lo sguardo di uomo. Il volto di una terra, di un popolo che piange, soffre, ma non s’abbatte come accade da una vita. Mirko Gori, 23 anni da Tecchiena di Alatri, è il ragazzo della porta accanto, quello che dalla polvere del campo “Sevi” di Tecchiena all’erba pettinata di San Siro si presenta sempre allo stesso modo, con lo stesso sorriso e gli stessi denti stretti di chi in un campo di calcio ci è nato e sa come starci.

Mirko a 23 anni e dopo aver giocato solo col Frosinone, dopo aver contribuito alle glorie di un triennio clamoroso, avrebbe tutte le carte in regola per sognare in grande, per sentirsi uno di quelli pronti al grande salto. Il ragazzo però spiazza tutti, si tocca il viso, abbozza un sorriso e dice qualcosa di inimmaginabile nel pallone di oggi: «Il mio sogno è quello di diventare il capitano di questa squadra».

Oh perbacco – diranno i benpensanti – questo può ambire al meglio, può spiccare il volo e vuole rimanere relegato nella provincia?

E beh, è evidente che chi in questa provincia è nato, è vissuto, è diventato grande, vuole anche trascorrerci il resto della sua vita. Raggiungere un obiettivo al fianco di quella terra madre – e mai matrigna – rappresenta per un ciociaro vero una questione di determinazione, di tigna. E badate bene, uno stadio in piedi acclamante una squadra che ha appena perso l’ultima occasione per salvarsi, è un qualcosa che nel resto del bel paese non troverete facilmente. In questa disgraziata terra invece sì, lo avete visto e vi siete meravigliati.

E quel ragazzino che in campo si batte, corre, contrasta, fino a piegarsi sulle ginocchia (vedi partita con l’Inter) è stato il primo a richiamare i compagni per tornare tutti insieme sotto la curva, a prendere quello che i tifosi avrebbero tributato, pronto anche ad esser contestato, ma sempre con la testa alta. E invece no, il popolo ciociaro conosce il mondo, conosce come si sta in questo pianeta, malgrado sia relegato dagli stessi benpensanti di prima ad essere periferia di Roma, prima stazione di posta al di fuori della civiltà.

Pensano. Loro.

Sotto i colpi del “Grazie Ragazzi” intonato dalla curva, tutti i giocatori del Frosinone hanno strabuzzato gli occhi. Qualcuno – compreso Mister Stellone – ha pianto, ma Mirko no. Il nostro ragazzino con lo sguardo da grande ha stretto Bardi da una parte, Pavlovic dall’altra ed ha alzato il mento verso chi lo ringraziava, con l’orgoglio del lottatore e l’incazzatura dello sconfitto.

E allora non ce ne vogliano gli altri, eroici e volenterosi guerrieri sotto l’insegna del leone più feroce nella battaglia, non si risentano i Ciofani, Dionisi, Zappino, Soddimo, Russo, Blanchard, Crivello, Rosi, Ajeti, Pavlovic, Pryima, Bardi, Sammarco, Gucher, Tonev, Paganini, Longo, Carlini, Kragl, Leali, Chibsah, finanche quel ciociaro acquisito di sangue sabaudo come Capitan Frara, fantastici interpreti di questo sogno legato ad un pallone. Non si risenta nessuno per il fatto che Mirko Gori ha la faccia, il cuore, le gambe e la rabbia del ciociaro.

Quel bimbo che vuole diventare capitano è il simbolo della rinascita, perché se Serie B dovrà essere, ci sarà bisogno di un ciociaro vero a spiegare che tutto quello che ci è capitato non è irreparabile. Ci vuole un figlio di questa terra a dimostrare che le botte rompono le ossa, ma il tempo e la determinazione le sanano. Ci vuole uno come lui che non scappa, che nonostante qui intorno ci sia il nulla, in questo nulla vuole restarci per cercare di costruire qualcosa.

Onore a Mirko, l’umile soldato che per amore vuole farsi generale.