Mister Stellone, il calciatore finito che si fece cannibale

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Fabio Cortina

di FABIO CORTINA
Giornalaio e Uomo Ancora su Teleuniverso

 
 

Vincere. Un mestiere difficile, specie se lo si fa in maniera veloce, divorando tutto e tutti, facendo il cannibale un po’ come lo era Eddie Merckx sui pedali, che agli avversari non lasciava che le briciole. La storia di Roberto Stellone a Frosinone è stata una parabola bellissima, anzi no, un “andamento sinusoidale” direbbero gli ingegneri, fatto di salite e discese. Sbalorditivi avvitamenti verso l’alto e pericolose picchiate verso il basso.

Da calciatore sul viale del tramonto, dolorante ed appesantito, ad allenatore emergente e vincente, sfrontato e bello come il sole. In Ciociaria Mister Stellone si è ricamato da solo, su quella giacca blu scuro che indossa malvolentieri, i gradi di condottiero di un gruppo che lui stesso ha creato, partendo dal nulla di un campionato berretti. Quel torneo, sconosciuto ai più, Stellone lo ha vinto con una banda di ragazzotti sfrontati quanto lui, facendo esordire quasi metà di quella squadra tra i professionisti e portandone due ai livelli più alti del calcio italiano.

Eppure non è bastato. Nel tracciato della sua esperienza ciociara, quello fatto di salite e discese, si è detto di tutto e la frase più gettonata era sempre la stessa: “Stellone c’ha culo”. E buon per lui ho sempre pensato io. Perché un allenatore senza “fattore C” è un allenatore a metà, un tecnico che non possa godere dell’aiutino della buona sorte è un visconte dimezzato del pallone. Stellone ha vinto i playoff di Lega Pro, Stellone è arrivato secondo in Serie B, Stellone ha guidato il Frosinone, la squadra più infima che abbia mai raggiunto la massima serie, a San Siro, all’Olimpico, allo Juventus Stadium. Eppure non è bastato.

Stellone se ne è andato tra il chiacchiericcio dell’ambiente e non parlo dei tifosi più caldi, quelli dell’applauso post Palermo e Sassuolo, ma di quelli freddi, algidi, gelidi, quelli che si riscaldano solo quando le cose non vanno. “Stellone c’ha culo. Stellone è presuntuoso”. E chi non lo sarebbe arrivato a quel livello? Ancora si crede alle favolette degli allenatori di provincia, quelli con storie da libro cuore che scalano la vetta senza prendersi i meriti ed i rischi? Un allenatore a 38 anni e dopo aver iniziato a vincere a 33 senza più fermarsi, può concedersi qualche eccesso di sicurezza, è un po’ come un calciatore a 18, il termine di paragone è lo stesso.

Il mister ha puntato sul suo modulo, sui suoi uomini e sulle sue idee. Lui almeno lo ha fatto, sbagliando ma lo ha fatto. Il 4-4-2 troppo sbilanciato è stato una condanna, ma Stellone era convinto di potercela fare, era convinto che i suoi ragazzi avrebbero sostenuto quel modulo e ci riuscivano in parte. Poi la benzina finiva, poi i valori si mostravano in tutto il loro terribile divario e prendevi 2-3-4 gol fino ad arrivare a 76. Quando si è avveduto col 4-3-3 era troppo tardi, ma magari sarebbe stato tardi sin dall’inizio, chi lo sa. Stellone ha sbagliato, così come hanno sbagliato i dirigenti e come hanno sbagliato gli arbitri. Ognuno ha le sue colpe.

Il Frosinone non lo ha salvato Stellone, ma stento a credere che potesse farcela Mourinho. Con l’allenatore romano, quello con cui è difficile parlare in conferenza stampa ed è facile sparlare in separata sede, la squadra, la città e la provincia hanno vissuto gli anni più belli della loro povera storia calcistica. Se poi c’è chi preferiva Bitetto o Silva in Serie C è solo questione di gusti, io mi tengo Stellone.

​Ah, ho dimenticato una cosa. Ho dimenticato la cosa che troppi “tifosi” gli hanno negato: GRAZIE MISTER. So che gli addii lacrimevoli non fanno per te, tu preferisci sorridere sempre, ma se qualcuno ti avesse fatto commuovere sarebbe stato decisamente più bello, più giusto, più adatto. Come tu hai ringraziato ‘sto posto disgraziato per averti dato una grande opportunità, tutti noi abbiamo l’obbligo morale di dire grazie a te.

Arrogante, presuntuoso, fortunato, addirittura con la barba troppo lunga e la camicia sempre fuori dai pantaloni. Per molti Stellone è stato solo questo. Per chi riesce per un attimo a collegare cuore e cervello Stellone è stato il più grande uomo di calcio che ha calcato il “Matusa”. La punta di un pennino che ha scritto la storia. Le penne però si sa, scrivono e non scrivono, il tratto sbiadisce e poi torna corvino. Un pennino però, non è fatto solo della punta, malgrado sia essa a beccarsi le occhiatacce e le alitate di chi ne disegna lo scritto.

Arrivederci Mister.

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