Addavenì Salvini

Foto © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Il 15 novembre confronto a distanza tra il pd di Zingaretti (impegnato a Bologna) e Italia Viva di Renzi (a Torino). Ma mentre la sinistra continua nella tradizione delle scissioni che giovano agli avversari, la palude del governo sta prosciugando il bacino elettorale di una coalizione che ha perso la bussola.

Il 15 novembre, in contemporanea, ci saranno due manifestazioni importanti. A Bologna il segretario del Pd Nicola Zingaretti aprirà la tre giorni “Tutta un’altra storia”. Un evento programmato da tempo, nel quale i Dem intendono cambiare lo statuto, per poi arrivare ad una stagione congressuale a marzo 2020. Possibile perfino il cambio del nome del Partito.

A Torino invece Matteo Renzi riunisce Italia Viva, per cercare di abbozzare un’organizzazione capillare sui territori. Nel frattempo però entrambi, sia Zingaretti che Renzi, dovranno decidere se restare al governo con i Cinque Stelle o se invece cercare una strada più coraggiosa lungo la quale provare a riattivare il centrosinistra italiano. Come ai tempi di Margherita e Pd.

Leopolda 10 Matteo Renzi © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

Sicuramente dal Partito Democratico altri andranno in direzione di Matteo Renzi. Anche nella nostra provincia l’area di Antonio Pompeo ci sta pensando molto: ha detto che intende restare nel Pd ma ha fissato dei paletti. Non è detto che alla fine rimanga. (leggi qui Pompeo: «Resto nel Pd, ma i matrimoni si fanno in due»).

Però forse la sinistra sta perdendo tempo. L’operazione lanciata da Zingaretti puntava a riportare a casa quella parte di elettorato spostatasi nei 5 Stelle, invece l’alleanza sta rischiando di allontanare dal Pd quelli che sono inconciliabili con una formazione capace solo di dire no, teorizza la decrescita felice, fa scappare gli investitori stranieri, senza avere un progetto alternativo. (leggi qui Ecco l’Italia a Cinque Stelle: la banalità del colare a picco).

C’è il rischio di determinare il prosciugamento di una parte importante di bacino elettorale. Nicola Zingaretti lo ha capito: è per questo che si è assunto la responsabilità di mettere in cantiere la modifica dello Statuto di un Pd che non ha funzionato. Il Pd nato dalla fusione a freddo di Ds e Margherita ha avuto indubbiamente dei meriti ma per contro ha sommato i difetti di entrambi i Partiti. Che quel modello di Pd abbia fallito lo dicono le piazze dove lo spazio a sinistra lo sta occupando la Lega dei Matteo Salvini. In piazza c’è il Carroccio, da nord a sud. Riesce a parlare con i lavoratori e gli operai, insieme con i precari, insieme con quelli che promuovono class action. Che poi gli dica cose non condivisibili e per molti aspetti discutibili è un altro punto.

Nicola Zingaretti © Imagoeconomica, Stefano Carofei

A sinistra invece vanno di moda sempre le scissioni. L’ultima, tra Renzi e Zingaretti, continua una tradizione storica. Che finisce con l’avvantaggiare gli avversari. Ma adesso non c’è più tempo, perché le proporzioni della vittoria in Umbria dicono che anche l’Emilia Romagna è contendibile. Appena diventato Segretario, Nicola Zingaretti voleva avviare un riassetto del Pd: la crisi di Governo, la formazione della nuova alleanza, l’uscita di renzi, non gli hanno dato il tempo di rendere visibili i cambiamenti. Il Pd ora rischia di non sopravvivere a sé stesso in caso di sconfitta in Emilia Romagna.

A rendere più grave il tutto è il fatto che questo Governo non ha la forza e l’autorevolezza per invertire il trend. Campicchia alla giornata tra un disastro e l’altro. Oggi l’Ilva, domani chissà.

I colonnelli del Pd dovrebbero rendersi conto che non c’è prospettiva e dire a Zingaretti di procedere per la sua strada: quella che lui stesso aveva indicato fin dall’inizio. Se invece a Bologna ci si limiterà a cambiare lo statuto, sarà stata l’ennesima occasione persa. Stesso discorso per Renzi a Torino: davvero l’obiettivo è sopravvivere al Governo? Tanto prima o poi alle urne si andrà. E senza una sinistra ricostruita tenendo conto degli errori commessi nel passato c’è il rischio di lasciare agli elettori, come sola alternativa, la Lega di Salvini.