Alle radici del Vino: Kalecik Karasi, Areni Noir e Cavalieri (Nunc est bibendum)

Alla riscoperta delle radici del vino. Da dove vengono i nostri vitigni, chi ha iniziato a selezionarli. E cosa si produce oggi in quelle terre dove le prime viti hanno visto la luce oltre 8mila anni fa...

Marco Stanzione

Non invitatemi mai a bere...

Il vino è fatto di storie: viticoltori, artigiani, tradizioni di famiglia e generazioni a confronto. Tutto legato al vino, alla sua lavorazione, alle tipologie riscoperte e ai racconti di vita vissuta.

Oggi Nunc Est Bibendum si occupa ancora di storia ma lo fa per parlarvi del nostro protagonista principale, quello che ci fa dannare, impazzire, storcere il naso, quello che ci fa “odiare” la Francia oltre al pallone; il posto sicuro dove riversare le nostre emozioni, la scusa per una conversazione, il compagno di viaggio che mai deve mancare, l’illusione temporanea che tutto il mondo sia pacifico e prospero, quello che amiamo e quello che ci fa amare…la ragione per la quale leggete queste righe, il vino!

Dove nasce? Quando? E soprattutto, perché? Domande semplici che nascondono una storia gigantesca che travalica millenni e leggende.

 

Una storia però che va oltre i miti ed è fatta di ricerca, studi e testimonianze vive. Per saperne di più abbiamo partecipato ad una degustazione molto interessante organizzata dall’Associazione Italiana Sommelier nella sede di Benevento.

Nel cuore del Sannio abbiamo avuto il piacere di assistere ad una lezione del relatore Guido Invernizzi denominata appunto: “Alle radici del Vino: Georgia, Armenia, Turchia e Cipro”.

Il titolo è diretto e ti da la prima importante informazione, il vino è nato lì nell’odierna regione del Caucaso. Mettiamo dunque da parte per un istante tutta la storia dei nostri vitigni, quelli riscoperti, quelli autoctoni e quelli che “li elogiava Tizio e Caio già in epoca Romana”. Qui si viaggia indietro nel tempo, qui iniziamo da circa 8.000 anni fa!

 

L’uva di Gadachrili Gora

Le prime testimonianze di viticoltura arrivano direttamente dalla Georgia, precisamente nella zona di Gadachrili Gora, dove esperti archeologi hanno scoperto quella che molto probabilmente è la più antica cantina del mondo: resti di vasi in terracotta decorati con grappoli d’uva, alcuni interrati e con all’interno residui di quello che una volta era vino.

Recenti studi sui terreni e manufatti hanno portato gli esperti a stabilire che quei ritrovamenti risalgono al 6000 a.C. dunque ci troviamo di fronte a delle popolazioni che lavoravano la vite con l’utilizzo di mezzi scarsissimi.

Nei secoli a venire poi tutto il Caucaso e il bacino del Mediterraneo hanno subito il “fascino” della viticoltura, testimonianze antichissime sono state trovate in Turchia, Armenia e sull’Isola di Cipro.

 

Atene ed i suoi Miti

Poi la Grecia, dove il vino divenne la base dei racconti di miti e leggende. Ma i fatti ci raccontano che quando finalmente è arrivato da noi (Spagna, Francia, Italia) il vino era già stato usato millenni prima per celebrare festività, per accompagnare rituali e sacrifici pagani, per gioire, danzare e, ovviamente, per delineare classi sociali… Le similitudini con i tempi odierni sono disarmanti!

Come sono dunque i vini dei territori sopracitati al giorno d’oggi? Certamente poco blasonati ma non per questo privi di qualità. Guido Invernizzi che lì c’è stato ci fa giustamente notare che loro hanno problemi più grossi da affrontare che pensare al vino. Ciononostante ci sono appassionati e produttori molto coraggiosi che guardando al passato cercano di produrre vini di alta qualità nonostante i tanti ostacoli.

Dunque assaggiamoli questi vini, Nunc est Bibendum!

 

Bornova Misketi, Voski e Rkatsiteli

Come corollario alla spiegazione di ogni territorio ci viene proposto un vino: si inizia dalla Turchia con un Bornova Misketi, vitigno semiaromatico a bacca bianca. Giallo paglierino con lievi riflessi dorati al naso presenta marcati sentori fruttati, soprattutto agrumi; in bocca è abbastanza fresco, sapido e piuttosto equilibrato.

Ci spostiamo in Armenia con un Voski del 2015, vino bianco ottenuto da due varietà di uve bianche autoctone: Grandmark e Voskéat. Giallo paglierino al naso rimanda frutta matura, timo, erba essiccata. Avvolgente e di buon corpo, fresco e sapido rispecchia in pieno i terreni sabbiosi e calcarei dove vengono coltivate le sue uve.

Poi si va in Georgia ed è qui che ci viene presentato un vino molto particolare, il Rkatsiteli. Da un’uva a bacca bianca si presenta al calice di un colore ambrato, frutto di una macerazione in anfora con bucce e raspi di circa due mesi. Sebbene al naso abbia sentori di frutta matura, albicocca, ma anche note salmastre in bocca è subito percettibile il tannino molto forte.

In effetti è un vino abbastanza ostico, a detta di Guido Invernizzi il Rkatsiteli o lo ami o lo odi, ricorda molto il vino dei nostri nonni, soprattutto quel retrogusto amarognolo. A mio modesto parere guadagna dopo diversi assaggi e si rivela poi perfettamente compatibile con una delle portate del piatto in abbinamento della serata: una piccola pizza fritta farcita con broccoletti e pecorino romano.

 

Kalecik Karasi, Areni Noir e Cavalieri

Il primo dei due rossi che assaggiamo viene dalla Turchia, precisamente dalla Cappadocia: il Kalecik Karasi. Rosso rubino con riflessi granata questo kalecik karasi risulta piacevole e anche piuttosto elegante. Al naso aromi di frutta rossa, confettura ma anche cacao, in bocca è abbastanza fresco con un tannino davvero delicato. Buona la persistenza.

Dalla Turchia alla vicina Armenia per assaggiare l’Areni Noir. Rosso rubino, aromi fruttati, speziati e con eleganti note tostate. Corposo ed equilibrato questo vino mi ha sorpreso per l’estrema eleganza, molto probabilmente non avevo grosse aspettative, dunque sono felice di essere stato sorpreso perchè ci troviamo di fronte ad un vino di ottima fattura.

La degustazione si conclude a Cipro con il Vino dei Cavalieri. A sud dell’isola viene coltivato il Commandaria, vitigno anch’esso molto antico. Leggenda narra che Riccardo Cuor di Leone fece servire questo vino al banchetto del suo matrimonio. La realtà ci dice che Riccardo Cuor di Leone ne capiva di vini perchè Commandaria è un passito notevole, complesso, fine. Ha dalla sua una buona freschezza, quindi è dolce ma per niente stucchevole.

Siamo nel Sannio e Commandaria ci è stato servito con il tipico torroncino croccante di San Marco dei Cavoti. Abbinamento perfetto.

 

Vino oltre i confini

Una serata davvero piacevole. Guido Invernizzi è stato incalzante: non è facile tenere alta la concentrazione di tante persone per più di due ore. Soprattutto poi quando ci sono dei vini da assaggiare e la platea è fatta da viticoltori, sommelier o aspiranti tali che iniziano a “farneticare” sul “più o meno dorato” o su “quale stramaledettissima spezia questo vino mi rimanda”. Me compreso ovviamente!

Correndo il rischio di perdere poi di vista quella che è stata la lezione più importante della serata: la storia, o almeno la storia in proiezione.

 

Ci sono zone vitivinicole nel mondo che sono terre di confine, spartiacque di conflitti, teatri di genocidi inspiegabili. Zone che hanno inventato il vino 8000 anni fa, lo hanno esportato, tramandato ed oggi sono costrette a ricominciare da capo, ad “inseguire” e non a “comandare”, a ritagliarsi uno spazio tra mille peripezie in un comparto le cui origini appartengono a loro di diritto.

Tutto ciò, va detto, con estrema dignità, coraggio e qualità da vendere.

Consiglio la lettura con “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles in sottofondo, omaggio a Guido Invernizzi, cultore e fanatico dei FabFour.

 

 

 

 

Recensione a cura di Marco Stanzione
Sommelier di Officine Sannite

 

 

IN COLLABORAZIONE CON I SOMMELIER DI