All’unanimità e trasversale: come si legge il dato del Consorzio

Come si legge il risultato che ieri ha portato alla ratifica dei vertici del Consorzio Industriale del Lazio. Perché è un'operazione troppo grossa per fallire. E perché sono stati fondamentali i tanti passi indietro senza fughe in avanti

Senza vincitori, senza vinti: l’assemblea generale dei soci del Consorzio Industriale del Lazio si è chiusa con un accordo. Che ha confermato l’attuale fase di equilibrio. Il timone lo ha il sud del Lazio, i flap li muove Roma che con la sua azione può condizionare rotta e velocità. È un equilibrio necessario. Perché il Consorzio Industriale è quello che i manuali di economia definiscono Too Big to Fail: un’impresa troppo grossa per fallire. E non tanto sul piano economico ma su quello amministrativo e politico.

L’equilibrio necessario

Nicola Zingaretti e Daniele Leodori

Per capirlo bisogna ricordare come nasce. È un’intuizione di Francesco De Angelis e della sua esperienza di assessore regionale alle Attività Produttive alla quale poi ha fatto seguito quella di parlamentare Ue. Prende forma attraverso una visione di sviluppo del territorio che vede insieme il governatore uscente Nicola Zingaretti e quello che è stato in questi anni il suo fidatissimo braccio destro Daniele Leodori. Si concretizza grazie al paziente lavoro giuridico sviluppato dall’allora capo di Gabinetto Albino Ruberti.

È un colosso. Che lascia all’assessorato la sua funzione di progettazione politica, l’individuazione delle grandi linee strategiche di sviluppo. Ma genera allo stesso tempo una realtà operativa snella con la missione di attuare quelle strategie. Che vanno dall’industria al Commercio, dalla ricerca alla proiezione su mercati esteri.

Ecco perché è un’impresa Too big to fail. Al di là dei numeri. Che sono immensi: quello del Lazio è il Consorzio Industriale più grande in Italia. Solo nella fase transitoriaha avviato un maxi programma d’investimento da 50 milioni di euro per 40 opere infrastrutturali; sta lavorando alla reindustrializzazione dei siti dismessi; su progettualità specifiche nel settore dell’urbanistica.

Nessuno vince, nessuno perde

Foto: Saverio De Giglio / Imagoeconomica

La visione è quella di un Lazio che cresce nel suo insieme camminando sulle sue specificità. Ragionare in modo diverso sarebbe un fallimento. Soprattutto sarebbe molto provinciale. Cosa che il Lazio non può permettersi.

Perché il Distretto Industriale del Chimico Farmaceutico (altra intuizione di De Angelis che realizzò da assessore nel 2006) è un polo di eccellenza conosciuto su scala mondiale: tutti gli operativa di big pharma sanno dove si trova con precisione ma non hanno la stessa abilità nel collocare sulla carta geografica la città di Roma. E quel polo abbraccia parte delle provincie di Frosinone, Latina e Roma.

Per continuare ad essere competitive quelle aziende hanno bisogno di una logistica che vada dal mare alla nuova alta velocità europea per le merci. Il che significa Gaeta con il suo porto, Ferentino con il futuro scalo sulla rotta che va dalla Scandinavia a Malta. (Leggi qui: I super treni merci dalla Scandinavia a Malta: milioni di lavori in estate sulle linee Cassino e Formia).

L’automotive ormai è proiettato sulla Mobilità Sostenibile, sempre meno dipendente da Stellantis: il progetto coinvolge tutto il Lazio Sud, abbracciando imprese che prima si trovavano divise in tre Consorzi industriali diversi.

Ecco perché è indispensabile una soluzione di equilibrio. Cioè quella che ieri in Sala Tevere a Roma ha portato a confermare il Consiglio d’Amministrazione che resterà in carica nei prossimi quattro anni. Rimangono al loro posto il Vice Presidente Salvatore Forte ed i Consiglieri di Amministrazione Angelo Giovanni Ientile, Cosimo Peduto e Maurizio Tarquini. Alla Presidenza, come da nomina con decreto regionale, c’è Francesco De Angelis.

Come si legge quel risultato

Giovanni Acampora

Il risultato si comprende nella sua portata politica se si tiene conto di due elementi chiave. È stata un’elezione all’unanimità e bipartisan. Significa che tutti i territori del Lazio, Roma compresa, hanno capito che il consorzio per funzionare ha bisogno di un equilibrio costruito con i territori. E non dei territori contro Roma o di Roma contro le province.

Un equilibrio che nasce da tanti passi indietro e nessuna fuga in avanti. Come l’azione coraggiosa compiuta dal presidente della Camera di Commercio Latina – Frosinone Giovanni Acampora. Ha i numeri per imporre un suo nome in CdA: ha avuto la chiara percezione che lo avrebbe sbilanciato penalizzando Roma. Perché a quel punto il Lazio sud avrebbe avuto il presidente De Angelis, il vice presidente Forte, l’uomo designato da Acampora. E Roma? Tenerla fuori avrebbe significato forzare la mano, avrebbe significato legittimare un Consorzio basato sul potere dei numeri e non sul potere dei progetti. Acampora ha saputo blindare l’equilibrio appoggiando come espressione del sistema camerale l’espertissimo romano Maurizio Tarquini.

È in quella trasversalità che sta l’attuale unanimità. Tutta la speranza di riuscita dell’impresa passa da lì.

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