Amare, soffrire, lottare (di E. Ferazzoli)

Foto: copyright FotoCasinelli per Frosinone Calcio

Palermo-Frosinone e quelle immagini che ora danno una consapevolezza in più. Sono le sequenze finali della gara contro il Cittadella. Cinica e concreta. Come i canarini ora hanno dimostrato di saper volare

Elisa Ferazzoli

Giornalista in fase di definizione

Strano modo ha la memoria di archiviare eventi ed emozioni. Perché se Frosinone – Cittadella è già un ricordo lontano, lo stesso non può dirsi del minuto 88 di Frosinone – Foggia e della gara play-off  tra Frosinone – Carpi. Almeno fino a domenica scorsa quando più il cronometro si avvicinava allo scadere e più quelle immagini rimbalzavano impazzite davanti agli occhi. Ci sono voluti i tre fischi e quel vago sentore di felicità inaspettata per espiarli e gettarli di nuovo nel dimenticatoio. Una sensazione inedita di chi ha lottato per il presente e non per un’aspettativa futura, di chi sugli spalti e in campo non si è fatto troppe domande ma ha badato alla sostanza pallone su pallone, un coro dopo l’altro.

 

Se non avere centrato l’obbiettivo al primo colpo e nella maniera più semplice ha un vantaggio, è quello di essersi liberati dal peso di pretese, pressioni e aspettative mettendo a tacere la paura di non essere all’altezza. Una gara alla volta. Con la caparbietà di Gori, le magie di Soddimo, l’ostinazione di Ciano e Dionisi, la lucidità di Frara e Sammarco, la freschezza di Matarese, con la voglia di rivalsa di una squadra intera. Come col Cittadella, il Palermo di Stellone va affrontato con lucidità e cattiveria agonistica, senza pensare agli esiti dei precedenti incontri di campionato e senza il timore reverenziale che questa piazza, che si dà molte arie da predestinata alla serie A, vorrebbe incutere.

 

“Chi ama soffre, chi soffre lotta, chi lotta vince”

 

Amare, soffrire, lottare. Per questa maglia, per riscattare se stessi, per chi sarà su quegli spalti, per chi la guarderà in tv, per chi quei 1700 km si preparava a percorrerli ma si è visto vietare l’accesso ad una finale dal pretesto – apparso ragionato – di possedere o meno una tessera del tifoso da quest’anno in via di abolizione. Una misura restrittiva giustamente non adottata nei due precedenti incontri di campionato, visto e considerato che l’incontro fra le tifoserie non ha mai dato luogo a episodi di violenza, e inspiegabilmente applicata alla gara di oggi.

Ma la memoria insegna che non sempre le restrizioni alle tifoserie avversarie sono sinonimo di festa.

Amate, soffrite, lottate. Per voi e per chi a 840 km di distanza starà facendo altrettanto.

 

.