La realtà… reale (La coda del Paone)

Lo sciopero dei lavoratori Amazon ci mette di fronte ad una verità: che il virtuale non esiste se non c'è il reale a sostenerlo

di Pino Paone

Lo sciopero dello scorso Black Friday, andato in scena nei centri logistici di Amazon in Italia e Germania, ci ha lasciato un importante dato: la realtà virtuale non esiste!

Abbiamo visto immagini che credevamo relegate agli album dei ricordi degli anni settanta o ottanta: operai davanti ai cancelli, picchetti, rabbia, urla.

Tutto questo non davanti ad una fabbrica meccanica, pesante, tradizionale, ma nel regno stesso del virtuale, nell’impero del click, nel paradiso della vita interconnessa che abbiamo la benedizione di vivere tutti i giorni.

Ma chi sono queste persone, si sarà chiesto più di qualcuno? Come mai sono in relazione con quello che invece vedo solo sullo schermo del mio computer o sul mio smartphone, mentre sto scgliendo il mio prossimo gadget o il mio prossimo outfit?

Ma Amazon non aveva perfino i droni volanti per far arrivare i pacchi in giro per il mondo?

Sono decenni che la letteratura, la cultura pop ed i media, uniti in un massiccio tam tam generale, ci spiegano che esiste una realtà “virtuale”, un luogo altro, diverso dalla realtà materiale e tangibile che siamo costretti a vivere come esseri di carne e sangue. Ci hanno raccontato che esiste un mondo che è sovrapposto e alternativo al mondo della realtà, quello per intenderci fatto di lavoro, di affetti, di relazioni, di oggetti, di negatività e di tutti quegli attributi che fanno del nostro essere una condizione piena di limiti e costrizioni.

La pubblicità ci fa intravedere mondi eterei, fatti di “nuvole”, ci racconta di universi “social” dove nessun limite esiste: di genere, di tendenza, di tempo, di luogo.

Qual è la promessa di questo mondo “virtuale”? La prima promessa è la negazione dei limiti fisici: ci si può spostare con un “tocco” da un luogo ad un altro, si può “essere” in un altro luogo. Allo stesso modo posso acquistare prodotti da qualsiasi parte del mondo, facendoli arrivare davanti al portone di casa mia. La seconda promessa è quella del superamento dei limiti morali: si possono cioè intrattenere relazioni con decine, centinaia di “amici”, si possono creare interazioni passionali o amorose mantenendo l’anonimato, impersonando personaggi di fantasia, mettendo nel frattempo in pratica desideri inconffessabili ed incoffessati. Questa la promessa, questa l’illusione. Perché la vera “virtualità” è l’illusione creata presso gli individui rispetto a quanto possa accadere nel cosiddetto mondo virtuale e cosa ancora più importante, quello che realmente è questo “mondo alternativo”.

Adesso lo sappiamo ancora più di prima: il mondo virtuale interviene pesantemente nel mondo reale, uccidendo perfino. Ce lo dicono le cronache di questi mesi. Postare un video all’interno di una cerchia di amici in una chat non resta un atto privato. Una volta ridotto in bytes e fatto fluire attraverso i canali informativi, quel video, così come le foto del compleanno di nostro figlio oppure quelle della gita al mare, diventeranno delle particelle solide che innescano reazioni vere. Queste interazioni possono incoraggiare dei “like”, che sono manifestazioni di approvazione reale presso individui reali (amici o semplici spettatori/lettori) oppure possono suscitare emozioni negative: disprezzo, rabbia, invidia. Le emozioni, lo sappiamo, non sono per niente “virtuali”. Di solito esse prendono forme tangibili e sono vettori di azioni vere. Le cronache che coivolgono i protagonisti più o meno consenzienti di video hard “rubati” e poi messi in circolazione sono un esempio paradigmatico di quello che succede quando il virtuale influenza il reale.

Quando interagiamo attraverso i tocchi sullo schermo o i click del mouse questi gesti così eterei mettono in moto processi materiali, reali. Ad ogni prodotto scelto corrisponde un pacco che viaggia e che viene manipolato da robot, da macchinari automatici così come da operai o magazzinieri, come abbiamo potuto vedere.

In questo processo la componente umana è solo un accessorio analogico, per certi versi necessario ma sempre più spesso vissuto con insofferenza. Vedendo le facce infuriate e disperate di questi accessori corporei malpagati e sfruttati all’osso dovremmo chiederci: dove sono le “nuvole” nelle quali il virtuale avrebbe la sua sede naturale?

Non esistono. O meglio esistono solo come concetti di marketing.

In realtà i nostri dati, le nostre foto, i nostri like sono bytes immagazzinati in materialissimi server. Cubi di metallo e plastica, pieni di schede di silicio, di cavi, di ventole, di pulsanti, di lucine. Se parliamo dei grandi servizi globali (facebook oppure twitter) parliamo di enormi server farm installate all’interno di capannoni industriali raffreddati da massicci condizionatori e sorvegliati costantemente. Eccola la nostra nuvola: concretizzata in metallo, vetro, cemento, rame, metalli rari, silicio. Ecco dove vanno le nostre vite sotto forma di scatti, di selfie, di condivisioni, di preferenze musicali o sessuali o politiche. Dati che scorrono dentro cavi sottomarini, in canali sotterranei che si insinuano nel sottosuolo delle nostre città. Come confrontarci allora con questa realtà materiale e per niente eterea? In che modo questa realtà ci guarda? In che modo ci vede? Cosa rappresentiamo per essa?

A fare luce su questo interrogativo voglio citare l’intervento di uno dei dirigenti di Amazon, intervistato sulle possibili ricadute operative degli scioperi per l’attività del portale di acquisti. “Stiamo facendo il possibile perché si possa mantenere la promessa che facciamo al cliente, nel momento in cui ci sceglie”.

Ecco cosa siamo: clienti. Ed i clienti, si sa, hanno sempre ragione, anche più ragione di un qualsiasi dipendente. Siamo noi con i nostri click  e le nostre scelteeeee a costruire byte su byte questa realtà, siamo noi a guidarla, siamo noi ad indirizzarne lo sviluppo.

Ed allora, adesso, cosa scegliamo? La realtà?