Con 100 lire, tre gelati e tre gomme di Rin Tin Tin (di F. Dumano)

Amerigo con la 'g' e non con la 'c'. E la sua gelateria. Se c'era una stellina sullo stecco del ghiacciolo ne vincevi un altro. L'Arcobaleno costava il doppio. Il massimo era il Piper...

Fausta Dumano

Scrittrice e insegnante detta "Insognata"

Ricordi in bianco e nero, quasi archeologici: lo scenario è sempre la piazza, il salotto. Lui, il signore con gli occhiali, è Amerigo: la ‘g‘ e non la ‘c‘, così mi consegnano i ricordi. Amerigo Coco, venti lire in un cono.

Nel salotto della piazza, proprio all’angolo con la strada che porta a San  Carlo, c’era il suo bar. Ricordi in bianco e nero, con lui si potrebbe narrare la storia del gelato. Noi che il pomeriggio alle 16 con 20 lire mangiavamo il gelato, 50 lire tre gelati. Quando i ghiaccioli passarono a 25 lire fu come il crollo delle borse. I gusti erano limone, fragola, crema, cioccolato. E negli anni ’70 se trovavi una stellina sulla stecca del ghiacciolo ne vincevi uno.

Ricordi in bianco e nero, il ghiacciolo quello classico con la carta che  si appiccicava sempre e dovevi aprirla da sotto, vicino al bastoncino e soffiarci dentro. Il Calippo e altri lussi sono arrivati dopo.

Arancia, limone e menta: l’Arlecchino con più gusti costava il doppio. Poi arrivò quello alla Coca Cola. I più giovani hanno conosciuto quelli alla fragola ripieni di panna. La mia generazione è quella del Piper con il cilindro di plastica, il bastoncino sotto per alzarlo. Anni in cui, ricordi in bianco e nero, 100 lire tre ghiaccioli e con il resto  3 gomme bubble gum di Rin Tin Tin.

Erano gli anni in cui si sperava di essere operati alle tonsille, perché la cura dopo era mangiare ghiaccioli… Ricordi in bianco e nero, correvano più o meno gli anni Sessanta, sul finire, che tra noi ragazzini si diffuse la teoria  che a seconda del colore della mucca il latte prodotto aveva un colore diverso: “Le mucche scure producevano il latte per la cioccolata“. Questa teoria che ci affascinava sembra essersi diffusa proprio nel suo bar, e sembra sia stato proprio lui, Amerigo, a diffondercela.

Ricordi in bianco e nero, per ore incantati davanti ai cartelloni pubblicitari della Sammontana o dell’Algida. Estati passate con i sandalini e un gelato sempre in mano, estati lunghe, la scuola cominciava il primo ottobre. Fu da Amerigo che scoprimmo che il Piper in un cartellone lo mangiava Patty Pravo e da quel momento il piper mi conquistò, divenne un simbolo radical chic (La tendenza ad essere radical chic covava dentro di me già in quegli anni).

Troppo piccola per frequentare ”Il Piper” il locale romano associato a Patty  Pravo, non mi restava che mangiare il gelato che reclamizzava lei ed aveva il nome del locale mito di una generazione.

Ricordi in bianco e nero, sbiaditi ed ovattati. Non ricordo come fu, una mattina la ”nostra gelateria” aveva un’insegna diversa: i ghiaccioli ed i coni si erano trasformati in gioielli. Una gioielleria. Prima di allora le gioiellerie di tendenza erano nella vicina Sora. Non saprei quantificare la durata di quella gioielleria, ma so per certo che all’inizio faceva strano pensare che la gelateria fosse una gioielleria.

Leggende e realtà si confondono come al solito: si narra che un certo  Vincenzino, un personaggio caratteristico della mia generazione, volesse ogni tanto pagare il gelato con un uovo, proponendo una sorta di baratto. Si narra pure che si chiedesse di mettere la pallina nel gelato a forma di cuore se fosse passata quella ragazza, proprio quella.

Racconti in bianco e nero… che non si sciolgono come il gelato.