Anagni. Se il murales diventa un tema per la campagna elettorale

Cosa insegna la questione del murales coperto per errore nella scuola Finocchieto. E cosa dovrebbe far capire per le prossime due settimane di campagna elettorale

Paolo Carnevale

La stampa serve chi è governato, non chi governa

La vicenda del murales della scuola di Finocchieto è un’efficace sintesi di come si sta sviluppando la campagna elettorale ad Anagni. Sintetizzando: da una parte c’è un’amministrazione che, presa dal furore inauguratorio, decide di far ritinteggiare le pareti della scuola. E bisogna fare così in fretta che l’affresco dei bambini passa in secondo piano. E si copre. Seguono scuse e promesse di pronta riparazione.

Non si tratta (opinione) di dolo. Ma questo è (forse) ancora peggio. Perché diventa superficialità e (almeno in questo caso) incompetenza.

Dall’altra c’è l’opposizione che (comprensibilmente) affonda il dito nella piaga. Ed un incidente diventa il paradigma dello sfascio della giunta. Con tanto di esposto. Eccessivo? Certo. Ma lo è anche chi, dall’altra parte, accusa le minoranze (per ora almeno) di strumentalizzare la cosa. Dimenticando cosa era stato detto e fatto anni fa, a proposito di quella scuola, da chi adesso siede in maggioranza. Anzi, al governo della città.  

Un murales che fa riflettere

I quattro candidati sindaco di Anagni

Forse, l’accaduto potrebbe essere un modo per provare ad immaginare in maniera diversa le ultime due settimane della campagna elettorale.

Con la maggioranza che potrebbe evitare di tagliare un nastro dopo l’altro (perché se corri troppo, gli errori li fai); e con la minoranza che potrebbe evitare di trattare la fase finale dell’attuale giunta come gli ultimi giorni prima della distruzione di Pompei.

E forse, magari, i cittadini potrebbero capirci qualcosa in più, e non limitarsi a lanciare sassi e frecce da una parte all’altra, come tifosi ai margini del campo da gioco. 

È un clima che fa venire in mente Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno. E farlo durare, e dargli spazio”.

Ma forse è chiedere troppo.