Anche il conte fa la fila con la mascherina (di F. Ducato)

Scene di ordinaria quotidianità nel centro di Anagni ai tempi del coronavirus

Franco Ducato

Conte del Piglio (ma non) in Purezza

Non avrei mai immaginato di aspettare con ansia il momento di andare a fare la spesa. Fino ad oggi, come ogni nobile che si rispetti, ho sempre delegato i miei servitori alla bisogna. Ma una settimana in casa, anche se il mio maniero è davvero confortevole, rischia di essere troppo per le mie esigenze. Aggiungete a ciò il fatto che la servitù è bloccata nei suoi appartamenti in quarantena. Nessun rischio, almeno per ora. Ma è giusto che nelle difficoltà io mi assuma le mie responsabilità. Ed allora è necessario che sia io stesso a provvedere alle mie esigenze ed a scendere ad Anagni, in città, per fare provviste.

Città, insomma, fino ad un certo punto. Ai tempi dell’ultima passeggiata che avevo fatto, ormai qualche mese fa, nella città dei papi ero stato accolto, come sempre, dai soliti fastidiosi rumori di fondo; il traffico cittadino; gli schiamazzi dei giovani popolani; il vociare nei bar sempre pieni. Oggi Anagni sembra deserta. Il breve viaggio a piedi che ieri mi ha portato al punto di rifornimento (qui lo chiamano “supermercato”) è stato paragonabile ad una traversata nel deserto. In un silenzio irreale ed umido, paragonabile a quello delle mie cantine, ma senza il conforto del mio Cesanese.

Il supermercato, da luogo di assembramento e di chiacchere vocianti, è diventato il regno del sospetto. Ci guardiamo (ognuno con una mascherina molto più minacciosa della protezione del mio elmo) tutti in cagnesco, per almeno due motivi. Il primo è che tutti temiamo di essere contagiati da chi ci sta vicino; l’altro è che, come accadeva anche prima peraltro, controlliamo che nessuno ci passi davanti nella fila larga che le autorità ci costringono a fare per il nostro bene. E che anche io, nonostante il mio lignaggio, devo rispettare, prima di entrare per prendere velocemente le derrate di cui ho bisogno.

Il chiosco che vende le gazzette della contrada (i villici la chiamano edicola) non permette di entrare alla bisogna. Si deve sostare e ordinare il giornale che si desidera, ed aspettare da fuori che l’edicolante, rigorosamente in guanti e mascherina, esca a metterlo su un contenitore posto all’esterno, previo pagamento del prezzo dovuto.

La bottega dello speziale (mi dicono che oggi viene chiamata farmacia) è invece meta di un pellegrinaggio incessante, con una fila che su snoda per parecchi metri fuori dalla porta. All’interno, i medici hanno costruito una barriera in una strana materia trasparente per proteggere se stessi dalla presenza di eventuali untori, e trattano i clienti con la stessa circospezione di un artificiere davanti ad una bomba inesplosa.

Torno a casa con la mia carrozza, stando bene attento a tenere a portata di mano la pergamena che, come hanno detto i messi comunali, dovrò mostrare in caso di controllo della polizia municipale. Devo dire che, a questo proposito, tranne qualche eccezione, tutti qui sembrano comportarsi bene, obbedendo alle disposizioni emanate dall’autorità comunale. E devo anche plaudire all’atteggiamento del viceré locale, l’advocatus Daniele Natalia, che a quanto pare sta gestendo in modo apprezzabile l’emergenza.

Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni.

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