Aria di elezioni: scatta la mobilitazione tra i big

La mobilitazione è iniziata da una settimana. In tutte le segreterie politiche ‘che contano’ hanno iniziato a convocare le loro unità di crisi: sono state spolverate le mappe della provincia da appendere ai muri, tirate fuori dai cassetti le agende per aggiornare i numeri di tutti quelli che hanno i voti da Frosinone a Viticuso, gli sherpa si stanno individuando i ponti diplomatici da costruire con i delusi e quelli che dalla volta scorsa si aspettavano qualcosa e ancora non l’hanno avuta. E’ il segnale che ci si sta preparando alla campagna elettorale.

Sono già al lavoro Francesco De Angelis e Mario Abbruzzese, Alfredo Pallone ed Antonio Tajani, Gabriele Picano ed Antonello Iannarilli. I  segnali che gli sono arrivati da Roma parlano chiaro: si vota in primavera, maggio o giugno; se solo alla Camera oppure anche al Senato lo si saprà a settembre. E in molti consigliano di scaldare i motori anche per la Regione.

Cosa ha fatto scattare la mobilitazione?

Negli ambienti romani viene considerata altamente probabile una crisi di governo entro la fine dell’anno. Il colpo di grazia al governo Renzi potrebbe arrivare dalle cifre macroeconomiche: in pratica, le riforme annunciate dall’ex sindaco di Firenze non hanno prodotto un bel niente al punto che la Grecia cresce più dell’Italia (+0,8 Atene contro il nostro modesto +0,2). Chi ha in mano il debito italiano (le grandi banche di portata mondiale, in primis) non ama le perdite di tempo e vuole i risultati subito per rientrare dal proprio investimento miliardario. Uno scenario simile a quello che negli anni scorsi portò al repentino avvicendamento di Silvio Berlusconi con Mario Monti. Ma questa volta Matteo Renzi conosce la trappola piazzata sul suo percorso. E piuttosto che saltare, giocherebbe il tutto per tutto. In che modo?  Tutto si gioca sul voto per la riforma del Senato: se passa, si va a votare con le nuove regole; se non passa, salta la maggioranza e non ci sono le condizioni per costruirne un’altra; Berlusconi ha già detto ai suoi che non stringerà un patto bis del Nazareno, il Pd è sull’orlo della spaccatura. Quindi la via obbligata è quella delle urne. A meno che il Capo dello Stato non individui una maggioranza sulle ‘larghe intese’ intorno al nome – come anticipava nei giorni scorsi La Stampa – su Enrico Letta. Ma a Roma lo ritengono poco probabile ed hanno avvisato tutti di prepararsi al voto per la primavera.

Allora si capisce la mobilitazione di Antonio Tajani che dopo tre anni scende in campo e mette intorno allo stesso tavolo Mario Abbruzzese ed Antonello Iannarilli; diventa chiara la strategia di Francesco De Angelis che dopo anni di conflitto trova la quadratura per andare al congresso provinciale con cui stabilire i rapporti di forza con Francesco Scalia; si comprende l’attivismo sotterraneo di questi giorni che vede Alfredo Pallone sempre più spesso a Roma.

In più si inserisce il rischio di una crisi in Regione Lazio che sarebbe come una manna dal cielo: perché chi non troverà posto al Parlamento si accomoderà sul treno per la Regione, chi non vorrà andare a Montecitorio perché lì non si gestisce potrà pretendere un biglietto per la Pisana. E tutti faranno alleanze strategiche e cordate, spingendosi a vicenda. Mentre il Paese si spinge sempre più sull’orlo del baratro.