L’assoluzione di Scalia e il silenzio assordante del Pd

(Foto: Sara Minelli / Imagoeconomica)

Nei giorni scorsi il Tribunale di Roma ha assolto Astorre, Scalia e altri 11 consiglieri regionali dall’accusa delle cosiddette “spese pazze”. Era tutto legittimo e “il fatto non sussite”. L’unico a complimentarsi pubblicamente è stato il segretario nazionale Nicola Zingaretti. Nessun riconoscimento “pubblico” dai leader locali del Partito Democratico. Ancora troppo ingombrante? E se tornasse?

Nei giorni scorsi il Tribunale di Roma ha assolto, a stretto giro di posta, il senatore e segretario regionale del Pd Bruno Astorre. Con lui anche il sindaco di Fiumicino Esterino Montino, l’ex senatore Francesco Scalia ed altri 10 ex consiglieri regionali del Partito Democratico del Lazio. Tutti assolti al termine del processo sulle cosiddette “spese pazze” del Gruppo in consiglio regionale.

La vicenda è quella dei fondi a loro destinati tra il 2010 e il 2013: quelli con Renata Polverini alla guida dell’Ente e Mario Abbruzzese a presiedere l’Aula. Tra gli imputati c’erano anche il vicesegretario del Pd Lazio Enzo Foschi, il deputato del Pd Claudio Mancini, l’allora tesoriere del gruppo alla Pisana Mario Perilli.  Oltre agli ex consiglieri regionali Giuseppe ParronciniCarlo Umberto Punzo, Tonino D’Annibale, Marco Di Stefano, Carlo Lucherini, Claudio Moscardelli, Francesco Scalia e Daniela Valentini.

Illeciti di Scalia & co.: nessuno

FRANCESCO SCALIA. (FOTO: RAFFAELE VERDERESE / IMAGOECONOMICA)

Già c’era anche Francesco Scalia: sindaco di Ferentino, presidente della Provincia, assessore e consigliere regionale, senatore e tanto altro ancora. Il Pubblico Ministero  aveva chiesto l’assoluzione per intervenuta prescrizione del reato di abuso d’ufficio per gli ex consiglieri regionali del Pd. Cioè: è passato troppo tempo dai fatti e lo Stato rinuncia ad accertare se quei reati siano stati commessi o no). Gli hanno risposto No grazie. E chiesto il processo.

Dopo la sentenza motivata “perché il fatto non sussiste”, Bruno Astorre ha sintetizzato così: «Non c’è stato alcun illecito nelle nomine dei collaboratori assegnati al gruppo consiliare del Pd ed ai singoli Consiglieri negli anni 2011/2012».

Veniva contestato l’abuso d’ufficio, cioè secondo l’accusa i Consiglieri regionali avrebbero dovuto attingere alle risorse interne della Regione piuttosto che nominare dei collaboratori di fiducia. Vale la pena di ricordare che già allora la situazione appariva singolare. Perché mentre nel resto d’Italia quei fondi venivano spesi per viaggi, acquisto di costose penne stilografiche, biancheria intima e perfino sex toys. Nel Lazio c’era chi li utilizzava per consulenze finalizzate a produrre progetti e proposte, far conoscere ai cittadini l’attività svolta dalla Regione affinché potessero usufruirne. (Leggi qui le accuse)

Poche voci nel deserto

«Sono felice per l’assoluzione dei consiglieri regionali del Pd. La giustizia, dopo aver fatto il suo corso, ha fatto luce su questa vicenda giudiziaria. A tutti loro un abbraccio», ha chiosato immediatamente il presidente della Regione Lazio,Nicola Zingaretti.

BRUNO ASTORRE

Bruno Astorre ha spiegato: «Nel corso dell’istruttoria dibattimentale è  stata dimostrata l’assoluta infondatezza del reato di abuso d’ufficio contestato anche al sottoscritto, allora vice presidente del Consiglio regionale, come sostenuto dall’avvocato Alicia Mejía Fritsch che ringrazio. Con questa sentenza il Tribunale riconosce che la nomina dei collaboratori del gruppo è di natura fiduciaria. I collaboratori potevano essere assunti direttamente dal gruppo consiliare e la legge, contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura, non prevedeva l’obbligo di ricorrere al personale interno della Regione o della Pubblica Amministrazione».

Il silenzio dei presenti

Fin qui l’aspetto giudiziario. Poi c’è quello politico e vale la pena sottolineare la tempestività del segretario nazionale Nicola Zingaretti nell’esprimere soddisfazione e vicinanza politica. Dal territorio invece nulla. Silenzio assordante. Eppure Francesco Scalia è stato un leader importante. Lo è ancora, anche se ha deciso (per adesso) di restare nel Pd da semplice militante. (Leggi qui Francesco Scalia, quello che 20 anni fa realizzava i sogni di oggi. E oggi non sogna più).

Forse avrà ricevuto delle telefonate private. Ma era il caso di prese di posizione pubbliche. Invece non ci sono state. Non dal segretario della Federazione Luca Fantini, non da leader del partito Francesco De Angelis, non dai consiglieri regionali Mauro Buschini e Sara Battisti. Non dal presidente  della Provincia e sindaco di Ferentino Antonio Pompeo, che peraltro ha ereditato da Scalia la guida di un’intera corrente politica, che oggi si chiama Base Riformista. Pompeo stesso è considerato il “delfino” di Scalia. 

Lo Scalia ingombrante

Francesco De Angelis, Luca Fantini Antonio Pompeo

Silenzio strano da parte di tutti i big, che invece inondano le redazioni giornalistiche di comunicati per ogni eventi, anche quello del tiro al piccione per addetti ai lavori.

Giulio Andreotti insegnava che a pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina. Non è che Francesco Scalia è politicamente ingombrante ancora oggi? Consideriamo che nel 2018 fu candidato fuori provincia da senatore uscente. Come del resto successe a Nazzareno Pilozzi, allora deputato. In quel modo il Pd rinunciò all’apporto attivo di uno che aveva costruito tanto sul piano politico ed amministrativo. Ma in Ciociaria l’invidia è il motore più importante.

Qualche anno dopo Scalia rispose così a Matteo Renzi che gli chiedeva di aderire a Italia Viva: “Perché chiami me? Fatti aiutare da quelli che hai candidato in posizioni blindate nel 2018, quando eri il leader del Pd e componevi le liste”.

Uno così qualche telefonata “pubblica” l’avrebbe meritata. Magari sta perfino pensando di tornare.