Frosinone in Serie A: niente è come la prima volta (di E. Ferazzoli)

Foto: copyright Frosinone Calcio

Nella valigia le immagini di Atalanta-Frosinone. I tecnici dicono che si salvano solo i primi 45 minuti. Sarà il tempo ad amalgamare la squadra. E fare in modo che riesca a regala emozioni diverse da quelle del taccuino. Perché il Frosinone che vuoi è sempre quello fatto di tigna e sudore

Elisa Ferazzoli

Giornalista in fase di definizione

Paganini che la butta in area, Soddimo che si allunga, la palla che finisce in rete. È una di quelle notti in cui il Matusa ha smesso di essere un luogo fisico per trasformarsi in emozione pura. È quella notte in cui la realtà ha le sembianze di un sogno e viceversa. È la sensazione di essere un tutt’uno fra chi corre in mezzo al campo e chi è lì per tifare i propri colori. Stesso è l’amore per quella maglia, stessa l’adrenalina e i brividi per il debutto in serie A.

Non potrai mai dimenticarla una notte così. Una stagione trascorsa fra “le grandi” con la sfrontatezza e l’incoscienza di chi non ha nulla da perdere ma tutto da dimostrare. Perfino la retrocessione è un ricordo da custodire gelosamente: fra quelle lacrime e quegli applausi c’era la promessa di tornare, migliorati nell’esperienza e negli intenti.

 

Ci sono volute due stagioni per riagganciare quel sogno. Ma quando lunedì sera con le squadre schierate in campo Piccinini ha fischiato il ritorno in serie A, nulla era più come prima.

Non c’erano Frara, Zappino, Crivello, Russo, Matteo Ciofani, Sammarco, Gori, Paganini, Daniel Ciofani. Non c’era Federico Dionisi, fuori per cinque mesi a causa della rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Soprattutto non c’era quella squadra abituata a lottare per i tuoi colori a dispetto dell’inferiorità tecnica e dell’avversario. Non un singolo fremito, un battito, un’emozione che rivelasse la straordinarietà dell’evento. Nessuna connessione, nessun legame con quelle divise così bianche da sembrare di qualcun altro.

Una squadra orfana della squadra stessa, di quel giallo azzurro così rassicurante e familiare, di tutti i suoi capitani. Al suo posto dei perfetti sconosciuti ed una sensazione estraniante che si è protratta per tutta la durata della gara.

93’ trascorsi a capire chi fossero quegli undici in campo, eccezion fatta per i guizzi di Ciano, la caparbietà e il carattere di Hallfredsson (che si è distinto dal primo minuto), il tentativo di Soddimo, subentrato al 62’ ad un Maiello spaesato, di rianimare una squadra in attesa del triplice fischio.

 

Se è vero che rompere con il passato ha permesso al Frosinone di dotarsi di una rosa sulla carta “all’altezza” e che “Serve tempo per diventare squadra” allora è solo una questione di attesa.

 

Oggi resta quella sensazione di spaesamento e la speranza concreta che una volta affondati i tacchetti sul terreno dello Stirpe anche per quei 16 nuovi arrivati il Frosinone diventi una seconda casa da difendere con orgoglio, dedizione e caparbietà. Che giocando davanti al proprio pubblico nasca immediato l’amore per questa maglia e con lui la volontà di smentire sul campo tutti coloro che non ritengono legittima la militanza del Frosinone nella massima serie.

 

Chissà che non sia proprio il futuro a riservarci emozioni e soddisfazioni da Serie A.