La sfida del barbiere

Salvatore Lombardi

Papà di Riccardo - Il volto umano dell'autismo

Per la prima volta abbiamo portato Angelo dal Barbiere.

Mamma mia quanto è bello. Dovreste vederlo.

Si lo so che questa cosa ha molto il sapore di “ogni scarrafone è bello a mamma soia”, ma Angelo è veramente uno splendore.

Ora ha due anni e quattro mesi. Fino a un anno e qualcosa non aveva proprio senso portarlo dal barbiere perché, a differenza di Riccardo, è nato con meno capelli e molto più sottili. Ma già da diversi mesi avrei voluto portarlo nel salone dove siamo clienti tutte e tre le generazioni di maschi Lombardi, ero sicuro che Pietro e Jacopo avrebbero fatto un bel lavoro anche con quei pochi capelli.

Non lo ho fatto ed ho continuato a tagliarglieli io con la “macchinetta” perché pensavo mi servisse da esempio per Riccardo. Ritenevo che, vedendo Angelo, magari Riccardo avrebbe preso confidenza con tutto il rituale e si sarebbe rasserenato e quindi li tagliavo prima ad Angelo e poi a Riccardo. Sempre lo stesso taglio: quella “boccia” uniforme che, non sarà bellissima, ma almeno li rende ordinati e, ad entrambi, svela quei due splendidi visi che hanno, e quegli occhi che, ognuno a modo loro, chiamano amore.

Ora erano diventati troppo lunghi per entrambi e poi tra qualche giorno c’è il battesimo della cuginetta Adele: era giunto proprio il momento.
Li abbiamo portai tutti e due. Sia io che Fra eravamo sicuri che Angelo non avrebbe fatto storie e speravamo che Riccardo, magari vedendo il fratello, si sarebbe convinto.

Angelo è stato un amore. Jacopo in pochi minuti ha modellato quella “zazzera” in maniera eccelsa, e ora quel taglio e quella piega conferiscono ancora di più al volto di Angelo quell’espressione profonda e furbetta che lo contraddistingue.

Riccardo per tutto il tempo ha girovagato per il salone toccando tutto quello che c’era da toccare, e non c’è stato modo di convincerlo a farsi tagliare i capelli.

Risaliti in macchina ci siamo detti che appena tornati a casa avremmo tagliato i capelli a Riccardo, e già nel dircelo si sentiva nelle nostre voci il timore di quello che sarebbe successo. Di quello che è sempre successo. Così è stato. Rientrati a casa, Fra sistema alcune cose ed io preparo la “macchinetta”. Già nel vedermi prenderla Riccardo inizia a capire e a manifestare il suo disappunto. Io e Fra ci vestiamo da tagliatori di capelli, cioè ci togliamo i vestititi che portavamo fino a quel momento perché di lì a breve saremmo stati completamente coperti da frammenti di capelli di Riccardo e così tutto il resto del bagno.

Come sempre, Fra prende Riccardo in braccio tra mille urla e pianti. Ma quando arrivo io con la macchinetta inizia il vero calvario. Oltre a strillare e piangere come un ossesso inizia a dimenarsi con tutta la forza che gli è possibile, a cercare di sottrarre la sua chioma dalle lame elettriche e a coprirsi con mani e braccia. Francesca, come in un abbraccio asfissiante, cerca di bloccargli le mani, di tenergli la testa e di calmarlo. Ma non c’è verso. Mi faccio coraggio e inizio a tagliare i capelli. I movimenti bruschi e repentini di Riccardo non mi permettono di procedere seguendo un certo ordine. Devo necessariamente tagliare ogni volta la parte della testa che riesco a liberare. Dopo tre, quattro atterraggi della macchinetta sul cuoio capelluto, Riccardo si ritrova con della parti di testa rasate. Ed altre dalle quali emergono ancora i ciuffi lunghi.

Io e Francesca non ci guardiamo. Sappiamo che in un momento di cedimento potremmo decidere di lasciare perdere, ma non possiamo permettercelo e non possiamo lasciare Riccardo in quelle condizioni. Non ho mai capito quanto dura tutta l’operazione forse un quarto d’ora forse di più, ma per noi, chiusi in quel bagno, il tempo si ferma. Tutto si ferma. Anche il cuore si ferma.

Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo cercato da ottenere un risultato il più aggraziato possibile. Non è perfetto ma è passabile.

Ora anche il viso di Riccardo, liberato da quella cornice di capelli troppo invadente, riprende luce. Quanto è bello. È bello anche se ancora piange.

Io e Francesca torniamo a guardarci negli occhi. Occhi gonfi di lacrime. Occhi che, senza bisogno di parole, si raccomandano coraggio e si danno appuntamento alla prossima volta. Alla prossima straziante volta.

 

error: Attenzione: Contenuto protetto da copyright