Il trucco di 'segnare' il voto per individuare subito eventuali franchi tiratori. Già usato nella corsa al Quirinale (lo rivelò Migliore) è stato fondamentale per l'elezione di Raimondo Tiero poche settimane fa
Silvio Berlusconi si, Silvio Berlusconi no, Silvio Berlusconi forse. Mentre sembra affievolirsi la sua candidatura alla Presidenza della Repubblica, resta sul piatto come i 505 voti per un’elezione al quarto scrutinio vanno ricercati uno per uno, forse ci sono, o più probabilmente no. La conta è difficile, ma come si controllano i voti, poi, in fase di elezione?
Semplice: dicendo a ogni schieramento come scrivere il voto sulla scheda. “Berlusconi“; “Silvio Berlusconi“; “Berlusconi Silvio“; “S. Berlusconi“; “Berlusconi S.“. E se c’è anche un diminutivo, tanto meglio. In passato è già accaduto per la Presidenza della Repubblica: dopo l’affondamento di Romano Prodi il capogruppo di Sel Gennaro Migliore affermò con certezza “Tutti i nostri voti sono andati a Romano Prodi ed erano ‘segnati’”; in che modo? Spiegò che aveva dato indicazione ai suoi di scrivere sulla scheda ‘R. Prodi’.
Il precedente di Tiero
A livello locale è già avvenuto. Neanche tanto tempo fa. È accaduto il 9 novembre, nel Consiglio comunale di insediamento, la prima seduta della nuova amministrazione di Latina, guidata da Damiano Coletta. Sindaco al suo secondo tempo, con la maggioranza di assise allora saldamente in mano al centrodestra. (Leggi qui Coletta, la nuova giunta e il centrodestra al bivio).
E proprio il Partito più votato e con il Gruppo più numeroso del centrodestra, Fratelli d’Italia, ha indicato il candidato presidente del Consiglio, Raimondo Tiero. Bocciato alla prima chiama, ottenendo solo 18 voti, quando il quorum (nelle prime tre) è di due terzi dei 33 consiglieri, viene eletto alla seconda con l’unanimità dei presenti.
Allo spoglio delle schede, scoppiò la polemica per come i voti erano stati espressi. Già, perché Tiero fu votato 13 volte come “Tiero Raimondo detto Remo“; cinque volte come “R. Tiero“; cinque volte come “Raimondo Tiero“; tre volte come “Tiero Raimondo“; tre volte come “Tiero“; e, addirittura, ben tre volte come “Raimondi Tiero“. Nome sbagliato, ma cognome corretto. E scheda identificabile.
Un metodo che si è poi ripetuto pochi minuti dopo, all’elezione dei vice presidenti del Consiglio, con Giuseppe Coluzzi (FI) eletto per il centrodestra con 18 preferenze: anche a lui toccò essere votato in maniera differente: tre volte come “Peppino Coluzzi“, quattro volte come “Giuseppe Coluzzi” e 11 volte come “Coluzzi“.
Trucco antico
Il metodo di “segnare” la scheda in modo da rendere riconoscibile il voto è antico. Serve a capire se in un’elezione ci siano franchi tiratori. Conoscendo il numero degli elettori – e quindi dei voti – che devono venire da un determinato Partito, gli si assegna un modo di esprimere il voto. Se poi manca uno o più di quei voti previsti, si identifica immediatamente in che area si sono infiltrati dei traditori, ed è poi facile scovarli.
Sta però a chi presiede l’assise al momento dello spoglio, decidere quale metodo utilizzare per leggere i voti: declamando solo il cognome del candidato, come sembrerebbe essere orientato a fare Roberto Fico, dallo scranno più alto della Camera, il gioco non funziona.