Biogas 4.0, la Lombardia ha fatto ciò che Vigo propose

L'idea era stata messa a punto anni fa in Ciociaria. Nessuno volle ascoltare il professor Paolo Vigo. Proponeva di trasformare la Valle del Sacco coltivando prodotti in grado di generare nuovi combustibili. Gli hanno dato retta in Lombardia. Dove ora sta arrivando a risultato il progetto Biogas 4.0: biodigestori senza rifiuti

Fabio Cortina

Alto, biondo, robusto, sOgni particolari: molti

Lo chiamano biogas 4.0 ed in Lombardia è già una realtà. Si tratta della possibilità di creare una fonte d’energia a partire dai prodotti agricoli: l’idea è quella di un biodigestore che si alimenti senza rifiuti ma con i prodotti dell’agricoltura. Un progetto che è iniziato nel 2019, ha una durata di tre anni e ora è al suo passo finale.

Ma quale è stata il ragionamento che ha spinto a lanciare la sfida e l’Unione Europea ad accettarla, finanziando quasi completamente l’idea? Il suo approccio multiplo. Sì, perché oltre alla possibilità di creare un carburante che possa essere il più green possibile – e più green di questo davvero non si può – le ricadute per l’agricoltura possono essere di gran lunga più importanti.

Il vantaggio molteplice

Il paragone è il più elementare: uno stomaco umano; quando digeriamo gli alimenti produciamo gas e poi una parte di massa. Il biodigestore green funziona allo stesso modo: lascia fermentare i prodotti agricoli facendogli produrre in modo naturale il gas bio; la parte che resta si chiama digestato, che non è altro che la parte solida di quanto resta del processo.

Quel digestato è un fertilizzante naturale. Con grandissimi risultati ed elevata qualità. Meglio ancora quando nel biodigestore oltre a prodotti agricoli entra anche la frazione umida dei rifiuti, ma con il solo apporto di food la qualità è ancor più elevata. La moltiplicazione del vantaggio è proprio qui: l’utilizzo del digestato naturale permette di mandare in soffitta i fertilizzanti chimici, con un triplice vantaggio.

Il primo è quello economico, perché soprattutto dallo scoppio della guerra in Ucraina abbiamo visto un aumento percentuale dei prezzi dei fertilizzanti a tre cifre; costi che alla lunga possono diventare insostenibili. Il secondo è relativo alla qualità di ciò che si usa come fertilizzante, il residuo della biodigestione infatti ha naturalmente valori medi molto bassi di quelle sostanze che alla lunga possono diventare inquinanti. Il terzo riguarda la qualità del terreno e delle future colture, che dati alla mano si innalzano in maniera esponenziale.

A ciò il progetto lombardo inserisce anche i liquami e gli effluenti, ovvero le deiezioni degli animali nelle stalle che, se lasciate libere nell’aria creano solo inquinamento ed anche molto; se invece fatte confluire in un biodigestore vanno ad arricchire quel processo di creazione di valore senza emettere odori, né inquinanti nell’aria.

Scusate il ritardo

Paolo Vigo, presidente del Palmer

E alla fine ci ritroviamo sempre a guardare con un palmo di naso gli amici lombardi, spellandoci le mani negli applausi, senza sapere che qui abbiamo la stessa identica possibilità, forse anche migliore.

Lo ha ricordato lunedì pomeriggio nel suo intervento tenuto nell’aula Papetti della Camera di Commercio a Frosinone, durante il convegno sulla Transizione delle Reti. Qualche anno fa il professor Paolo Vigo, già rettore dell’Università di Cassino e presidente del Parco scientifico e Tecnologico del Lazio Meridionale Palmer, propose un qualcosa di simile, ma gridando nel deserto.

In poche parole il Prof. disse: “Signori, abbiamo la Valle del Sacco, inquinata e nella quale non si può piantare nulla perché non si può mangiare nulla. Utilizziamola per coltivazioni che non siano destinate al food, ma alla creazione di energia”. Lui sicuramente lo disse meglio, ma il senso fidatevi era quello.

Oggi, partendo dal progetto lombardo ha ricordato che come al solito arriviamo in ritardo. “La soluzione Valle del Sacco sarebbe proprio ideale perché darebbe agli agricoltori i cui terreni sono interdetti per coltivazioni food la possibilità di generare un minimo di mercato, con in più una speranza che dopo una decina di anni di colture no food si possa poi tornare al food”.

Nulla è perduto, se non il tempo, ed è per questo che per Paolo Vigo bisogna fare davvero qualcosa ed affidarsi alla scienza e non alle chiacchiere da bar. La speranza è che come la Lombardia ha messo questa tecnologia tra le priorità per la sostenibilità ed il rilancio del settore agricolo, la stessa cosa possa farla il Lazio all’interno della sua programmazione europea e all’interno dei progetti da finanziare con i fondi del PNRR.

Ed ora arriva l’idrogeno

Il professor Vigo va però oltre. Lancia il suo messaggio nell’ambito della transizione ecologica ed energetica che possa essere davvero efficace ed efficiente. E non solo uno slogan. Perché, sottolinea il già Rettore, sulla questione della biodigestione dei rifiuti i partner europei sono avanti.

Stanno avanti soprattutto perché “Non scontano dubbi e resistenze presenti solo in Italia”. Dubbi e resistenze che vedono nascere col contagocce impianti che invece diventerebbero strategici. Lo sarebbero per più settori, come abbiamo visto col progetto biogas 4.0 nell’agricoltura lombarda.

Nel suo intervento di ieri alla Camera di Commercio, nato da un confronto con il vice presidente dell’azienda speciale Informare Florindo Buffardi, l’ex rettore ha elogiato l’Università di Cassino e le sue attività di ricerca. Che l’hanno portata a sondare la possibilità di puntare sul gas bio e allo stesso tempo sull’idrogeno. Una tecnologia che all’interno dei progetti del PNRR dovrà essere presente e che quindi richiede una prontezza a livello infrastrutturale ed impiantistico.

Il prototipo del nuovo treno ad idrogeno

Il biometano da fermentazione – no food o Forsu – è sempre un combustibile con un piccolo valore del potere calorifico e l’unica soluzione futura – continua Vigo – sarà l’additivazione di metano con idrogeno (max 18-20%) che comporta un potere calorifico che aumenta del 50%”. Sembra un cane che si morde la coda, perché l’idrogeno di fatto ha bisogno di energia elettrica per attivare l’elettrolisi, ma qui non ci sono code e cani che tengano.

L’elettrolisi dell’acqua – spiega il già rettore – sarà ottenuta tramite corrente continua da fotovoltaico o eolico”. Quindi, anche qui, impatto praticamente zero. La morale di questa favola è quindi sempre la stessa: fidarsi della scienza e non di chi, per faciloneria, intorta dicendo che per creare energia pulita servirà comunque continuare ad utilizzare elettricità che arriva da fonti fossili.

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