Buon compleanno Vittorio: 117 anni fa a Sora nasceva De Sica

Il 7 luglio del 1901, Sora dava i natali a Vittorio De Sica, il più eclettico regista del XX secolo, l’artista che per oltre un trentennio è stato un grande protagonista del cinema italiano e internazionale.

Maria Chiara STRAPPAVECCIA
per L’INDRO

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Nella mente degli italiani più in là con gli anni pensando a Vittorio De Sica risuona la famosa canzone ‘Parlami d’amore Mariù’, che fu da lui lanciata nel film ‘Gli uomini che mascalzoni….’ con la regia di Mario Comencini. Il 13 novembre ricorreva la morte per un tumore polmonare in Francia di quest’attore, che fu anche regista e sceneggiatore.

Fu uno dei padri, insieme a Roberto Rossellini e a Luchino Visconti, del Neorealismo nella commedia italiana.

 

Vittorio De Sica era nato a Sora. Il 7 luglio di 117 anni fa. Il nome completo era Vittorio Domenico Stanislao Gaetano Sorano De Sica, l’ultimo nome Sorano è il nome del presunto dio eponimo della città di Sora. A detta di Vittorio, la sua famiglia viveva una “tragica e aristocratica povertà”. Il padre Umberto, con il quale ebbe sempre un ottimo rapporto (e al quale ha dedicato il film ‘Umberto D.’) era un impiegato cagliaritano di origini campane. La madre, Teresa Manfredi, una casalinga napoletana.

Nel 1914 per fuggire alla guerra, Umberto De Sica, con Vittorio e tutto il resto della famiglia si trasferì a Napoli a Firenze. A quel tempo Vittorio è un ragazzino vivace e un po’ curioso, con una vena artistica già ben definita, tanto che verso i quindici anni, inizia le sue esibizioni da attore dilettante nei piccoli spettacoli che si organizzano per i militari ricoverati negli ospedali, poi si trasferisce con la famiglia in modo definitivo a Roma.

Eduardo Bengivenga è un amico della famiglia De Sica e sarà proprio lui a far ottenere un piccolo ruolo a Vittorio, allora studente di ragioneria, come cameriere nel film muto “Il processo Clemenceau”, nel 1917. Dopo questa apparizione Vittorio è deciso a finire gli studi e solo dopo aver preso il diploma di ragioneria, accetta nel 1923 la scrittura teatrale da attore generico in una compagnia teatrale, la direttrice di questa compagnia è Tatiana Pavlova attrice prestigiosa di quegli anni.

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Furono famose le interpretazioni drammatiche di Vittorio De Sica, come il remake del 1957 del film ‘Addio alle armi’ di Charles Vidor. Già Premio Oscar nel 1947 per il film ‘Sciuscià’ e nel 1949 per ‘Ladri di biciclette’, De Sica lo fu nuovamente per ‘Miracolo a Milano’ nel 1951 e nell’anno successivo per ‘Umberto D.’ Firmò inoltre altre opere che però non ottennero il riconoscimento dell’Oscar, come ‘L’Oro di Napoli’ due anni dopo e ‘Il tetto’, che nell’anno successivo segnò anche l’addio al Neorealismo nel cinema.

È ricordato anche per il film ‘La Ciociara’ del 1960, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore Alberto Moravia, che vinse il Nastro di Argento, il David di Donatello, la Palma d’Oro a Cannes e infine l’Oscar per la strepitosa interpretazione di Sofia Loren come attrice, con la quale lavorò successivamente anche ne ‘La riffa’, episodio del film ‘Boccaccio ’70’ nel 1962.

Ottenne il quarto Oscar con la trasposizione de ‘Il Giardino dei Finzi Contini’, che vinse anche l’Orso d’Oro a Berlino nel 1971 e celebre per la resa della persecuzione durante il periodo fascista della famiglia ebrea ferrarese descritta nel romanzo.

Altro famoso testo letterario trasportato nel cinema fu ‘Il viaggio’ di Luigi Pirandello del 1974, ancora con Sofia Loren.

 

L’impegno politico di De Sica come uomo di sinistra e la sua doppia vita coniugale (prima con l’italiana Giuditta Rissone da cui ebbe Emilia, e poi con Maria Mercader, l’attrice spagnola naturalizzata italiana, da cui nacquero Christian e Manuel) ha nuociuto alla sua fama artistica, sia in vita che da morto, quando gli fu impedito di avere un funerale fastoso, come spettava a un simile artista.

 

Abbiamo parlato della figura di Vittorio De Sica con il figlio Manuel, compositore italiano e fratello di Christian, marito della produttrice Tilde Corsi, zio di Brando De Sica e nipote di Ramòn Mercader, l’agente segreto spagnolo operante nel Narodnyj Komissariat Vnutrennich Del (NKVD), ovvero il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni durante il governo di Stalin nell’URSS, e meglio noto come l’assassino di Lev Trotskij, fratello dell’attrice Maria Mercader.

 

È giusto definire Vittorio De Sica padre del Neorealismo italiano nella commedia all’italiana?

Non è corretto: mio padre è stato certamente il padre del Neorealismo italiano, ma insieme a Roberto Rossellini e a Luchino Visconti; poi ha cominciato come attore da giovane con Mario Camerini, nel film ‘Gli uomini che mascalzoni…’ ispirato alla commedia all’italiana come ‘Ieri, oggi e domani’, o altri simili, e a questa forma di cinema egli aveva partecipato anche in qualità di regista.

 

E invece dire che fu uno dei rappresentanti della Ciociaria cinematografica, insieme Mastroianni e Manfredi?

Mio padre non è in relazione con Nino Manfredi, se non in ‘Lo chiameremo Andrea’, un film scritto da Cesare Zavattini che è stato parte integrante dell’attività di mio padre, mentre con Marcello Mastroianni sussiste invece un contatto più diretto perché quello è stato attore in più di un suo film.

 

Qual è il primo ricordo che ha di suo padre, Vittorio De Sica, o quello che si ricorda meglio?

I primi ricordi, quelli rimasti dalla fanciullezza, sono due. Il primo era legato allo spavento provocato in me dal flash dei fotografi, quando mio padre doveva farsi le fotografie con noi presenti a casa e mi ricordo che piangevo moltissimo per l’effetto negativo che tali apparecchiature avevano su di me. Il secondo risale all’incirca allo stesso periodo, quando per la prima volta entrai in un set cinematografico e scoprii che si usava la finzione: mi terrorizzai molto, in quanto ero al buio con un’illuminazione artificiale che metteva in risalto mio padre, vestito con un camicione da notte, che veniva percosso da quattro energumeni muniti di un bastone ciascuno, e cacciai un urlo. Scoprii soltanto dopo che era tutto finto e che quanto veniva rappresentato non corrispondeva alla realtà, ma soltanto a dei fatti sulla scena.

 

Lei ha curato alcune colonne sonore dei film di suo padre, come ‘Amanti’ o ‘Il Giardino dei Finzi Contini’ che le fece guadagnare l’Oscar: come è stato lavorare con lui sul set cinematografico e quanto era importante la musica nei film di suo padre, ed era diverso come padre rispetto al ruolo di regista e attore e quali differenze si notavano rispetto ai due ruoli?

Teneva molto alla musica, perché era musicale come regista anche nelle sue opere. Lavorare per lui è stata un’esperienza bella, che mi ha lasciato molta libertà di azione e di scelta, che in seguito non ho più ritrovato, perché di solito i registi hanno dei problemi nei confronti della musica stessa, specialmente in Italia.

 

Che cosa significa con la frase che i registi hanno problemi nei confronti della musica nei film, soprattutto in Italia?

Hanno problemi perché non sono abituati alla presenza della musica in un film e cercano quindi sempre una colonna sonora minimale, che non disturbi o invada troppo lo schermo. Questo è dovuto a un problema di protagonismo che li riguarda, e che costringe il musicista a essere così bravo da scrivere dei pezzi musicali che possono essere tolti o messi, a seconda dell’umore del regista stesso.

 

Suo padre lavorò, come Lei ricordava, anche con Nino Manfredi: come considera oggi questo attore, quale eredità ritiene sia rimasta nella cinematografia italiana, qual è il rapporto tra i due, qual’era la loro arte, le differenze e le similitudine e quale apporto hanno dato alla cinematografia italiana insieme?

Il rapporto tra mio padre e Nino Manfredi era di stima reciproca. Manfredi ovviamente rappresentava, insieme ad Alberto Sordi, Vittorio Gassmann, Marcello Mastroianni e Ugo Tognazzi, il grande stuolo di attori che oggi non c’è più, e del quale si sente la mancanza, perché tali figure oggi sono un’altra cosa e vedremo nel tempo quanto durerà la loro memoria e questa noia. Manfredi ha dato un grosso apporto per quanto riguarda la caratterizzazione, la farsa e la commedia di costume, mentre mio padre ha un raggio di azione più ampio: è stato uno dei padri del Neorealismo, ma ha anche lavorato nel contesto della commedia.

 

Come sono gestite dalle politiche culturali di Roma e sul piano nazionale le due eredità (Vittorio De Sica e Nino Manfredi) e quali prospettive si sono attuate in tale campo? Quali progetti sono quindi in atto o da realizzare?

Io non penso sia stata data da parte delle istituzioni la dovuta attenzione ai grandi artisti dell’Italia cinematografica e si potrebbe dare molta più rilevanza a tali figure rispetto a quello che realmente si sta facendo, specie riguardo la divulgazione e la promozione dei film che sono stati realizzati in passato.

Io vado avanti con la mia attività di restauratore e valorizzazione dei film di mio padre, e dal 1994 a oggi ho conseguito parecchi risultati, ma dovrò ancora proseguire perché, in questo campo, di lavoro ce ne è sempre tanto. La prima cosa da realizzare è quella di preservare tale cinema, poi bisogna anche divulgarlo. Le difficoltà per realizzare tutto questo non mancano.

 

Lei è presidente dell’Associazione ‘Amici di Vittorio De Sica’, come agisce tale ente e perché è stata fondato?

Tale associazione culturale è stata fondata e costituita in fondazione per non restare solo in questa impresa e non dire di essere l’unico che realizza (e per il quale contano) tali azioni, ma ottenere anche l’aiuto di alcuni soci onorari. In prima persona ho dovuto affrontare la ricerca di sponsor che sostenessero questa associazione e avere il denaro sufficiente per portare avanti tali progetti.

 

Quanto l’esperienza di suo padre ha influito sulla sua professionalità di compositore di musica italiano e quindi anche di musicologo?

Mio padre era un melomane e aveva un padre che suonava anche lui il pianoforte, mentre il fratello di suo padre, quindi suo zio, era anch’egli una specie di genio della musica. In qualche modo io ho ereditato una simile particolarità e qualche cosa da tutti questi personaggi.

 

‘Parlami di amore Mariù’ è entrata nell’immaginario degli italiani, come anche il suo maresciallo Carotenuto in ‘Pane, amore e fantasia’, ma anche le interpretazioni drammatiche in ‘Addio alle armi’ di Charles Vidor. Come si comportava prima di girare un film o essere protagonista in esso, aveva delle superstizioni prima di entrare in scena?

Mio padre era molto superstizioso, anche se il suo mestiere non gli forniva impedimenti, poiché affrontava qualsiasi cosa nel suo campo con assoluta facilità.

 

Come accolse la sua popolarità dopo ‘La Ciociara’ (che vinse il Nastro d’Argento del 1960) e i quattro Oscar che gli furono dati e cambiò il suo atteggiamento verso il cinema?

Lui aveva già vinto il primo Oscar come miglior film straniero con ‘Sciuscià’ già nel 1947, nel 1949 ne vinse un altro con ‘Ladri di biciclette’, negli anni Sessanta con ‘Ieri, oggi e domani’ e in quelli Settanta ottenne l’ultimo con ‘Il Giardino dei Finzi Contini’. Non cambiò mai atteggiamento nei confronti del cinema, aveva il suo modo di pensare che era piuttosto rigoroso nei confronti delle smancerie, delle leggerezze di un certo cinema non impegnato.

 

Come era visto dai suoi contemporanei e quanto ha influito sulla sua fama durante la vita e dopo la morte il suo aderire alla sinistra e agli scioperi?

Egli è stato un bersaglio da parte della Democrazia Cristiana per tutto il dopoguerra, perché l’onorevole Andreotti si scagliava spesso contro le sue opere definendole un pessimo servizio reso all’Italia. Di contro, Vittorio De Sica ha sempre mantenuto un atteggiamento libertario e democratico nei confronti degli scioperi e delle sommosse perché vi riconosceva un diritto del popolo stesso.

 

Lei ha scritto un libro che si intitola ‘Di figlio in padre’: ce ne parla meglio e ci dice di che temi tratta tale libro e in che forma?

Un anno fa ho scritto un libro intitolato ‘Di figlio in padre’ (che ha avuto abbastanza successo e adesso è arrivato alla terza ristampa), edito da Bompiani, che parla un po’ dei racconti sul cinema e del mondo che ruotava intorno alla figura di mio padre, Vittorio De Sica. È una sorta di autobiografia, congiunta a quella di mio padre, con racconti, aneddoti e memorie che secondo me rappresenta una lettura necessaria per capire a fondo il mondo, l’epoca, o meglio le epoche, nelle quali mio padre si è mosso e ha vissuto fino alla sua morte.

 

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