Quelle donne che tengono i figli nelle campane di vetro (di R. Cacciami)

Donne ansiose. Che pretendono di invadere il campo di altre donne. Mamme contro insegnanti. Che solo per avere messo al mondo il figlio pretendono che il mondo si adatti a quei ragazzi. Senza pensare che così non gli insegnano ad affrontare i problemi. E quando mamma non ci sarà?

Rita Cacciami

In punta di stiletto. Il veleno è previsto nella ricetta.

Donne violente. Con altre donne. Spiace dover tornare sull’argomento, ma la cronaca il più delle volte non fa sconti.

Il fatto più eclatante in una scuola. Tra due figure istituzionali con l’autorevolezza dell’adultità e del ruolo. L’una madre. L’altra insegnante. La prima colpisce al viso la docente del figlio. Ben due volte, a palmo aperto e chiuso.

Cade la professoressa. Il setto nasale rotto, la prognosi a seguire di 20, dicasi 20 giorni. Fin qui il fatto. Accessori a corredo che la narrazione giornalistica offre: il ragazzino di prima media è anche un atleta. Addirittura tra i primi tre in Europa nella sua disciplina. Che, per tutelarlo, viene taciuta. Ora è libero di fare tutte le gare che vuole.

La scuola lo ha bocciato, grazie alle interrogazioni finite a suon di 4 e all’aiutino fornito da mamma. Quella a cui prudono le mani. E che ora si scusa con riserva. Come un’adolescente, sa di aver sbagliato. Ma si autoassolve almeno in parte. Tirando in ballo la provocazione.

Uno sguardo di sfida tra donne avrebbe innescato la miccia.

Un messaggio pessimo. Quasi quanto il fatto in sé. Meglio sarebbe stata un’ammissione di colpa e via dritta al processo per aggressione e lesioni. Magari con rito abbreviato.

Il caso di questo comune dell’hinterland padovano mi ricorda altro. Mi dice che la violenza non è solo fisica. E’ anche entrare a gamba tesa nelle competenze altrui. Cercando una scorciatoia. Una corsia preferenziale.

Mentre tutti pensano a chi dice chiudiamo i porti, altri invocano l’allontanamento coatto dei genitori dalle scuole. Il blocco delle chat di mamme ansiose e isteriche su whatsapp che mettono in croce le insegnanti dei figli fin dalla scuola dell’infanzia. Ergendosi a pedagogiste dell’ultima ora. Seguaci di ogni sorta di teoria tesa a preservare quel cucciolo di figlio partorito con dolore. E messo sotto campana di vetro. Meritevole, via via che cresce, di essere inserito in “quella” classe. E non altre. Con quei compagni. E non talaltri. Quando possibile, condizionando il giudizio. Grazie ad un cognome. O ad una professione che torna utile a tutti. A te ci pensa mammà, tranquillo. Domani va lei a scuola a dirgliene quattro. E vedrai come abbassano tutti le penne.

C’è chi usa la violenza. Verbale o fisica. E chi quella del biglietto da visita.

Vomitevole, direbbe Gabriel Attal. Per una volta, concordo con i francesi.

Una tantum.

 

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