Una bandiera si può ammainare: ma non trattare come una figurina

Il calciomercato del Frosinone potrebbe proporre dolorosi addii. Necessari per cambiare pelle. Ma se una bandiera si può ammainare bisogna sempre stare attenti a non trattarla come una figurina

Elisa Ferazzoli

Giornalista in fase di definizione

– “Ma chi te lo fa fare? Fa freddo, è domenica, ci sono i saldi. È solo un’amichevole.”

– “Ci sono loro. C’è il Frosinone. Non serve altro.”  

La gara amichevole contro la Paganese termina 3-0. Finalmente una vittoria del Frosinone allo Stirpe. La prima di questa stagione. A sbloccare la gara nella ripresa è la rete del nuovo arrivato Valzania; raddoppio di Campbell al 27’; il terzo goal arriva allo scadere dai piedi di Ciano su punizione. Che il risultato possa essere di buon auspicio per il girone di ritorno e per i sogni di salvezza.

Eppure si respira un’aria strana, spenta, ovattata e sospesa.

Ciofani, sostituito, saluta i tifosi presenti. È un addio? Se lo chiedono tutti. Nessuno lo sa con certezza. Di certo c’è che quel gesto di saluto mette addosso un bel po’ di malinconia perché ha il sapore tipico della fine. Come quando realizzi di non far più parte della scena, te ne stai lì a guardare distante, ti senti un estraneo a casa tua, incredulo e impotente.

Da giorni circolano voci sull’ennesima trattativa della Cremonese con il Frosinone. Oggetto del contendere Daniel Ciofani. Sì, proprio lui. Una contrattazione dall’andamento altalenante e contradditorio; un balletto di voci “sfuma l’accordo”, “è questione di ore”, “la trattativa si è inceppata” che induce ad una duplice riflessione.

Daniel non è solo un leader, Daniel è stato a lungo il leader di un gruppo di uomini che ha compiuto grandi imprese e che in parte non esiste più. È plausibile pensare che il Frosinone si prepari a cambiare pelle. A scrollarsi di dosso l’identità della squadra di Serie B promossa, retrocessa, poi quasi rientrata nell’olimpo riuscendoci però al secondo tentativo. Non una ma tre imprese di fila.

Per cambiare pelle bisogna cambiare leader, ammainare le bandiere e sostituirle con nuove? La scelta compete alla società: la stessa che con le sue scelte ha costruito quei tre miracoli.

Un uomo, un professionista, un giocatore come Daniel Ciofani è un pezzo di storia del Frosinone. Che stia facendo fatica a ritrovare la giusta forma fisica per tornare ad essere l’uomo determinante che è sempre stato è evidente; che possa aver valutato l’ipotesi di cambiare maglia perché gli equilibri, nello spogliatoio e in campo, sono cambiati è legittimo; così come sarebbe legittima la volontà della società di puntare su giocatori sulla carta più competitivi.

Ma esistono modi e modi di sciogliere i legami importanti. L’errore sarebbe far apparire la cessione di un uomo che ha dato così tanto alla causa, come se dipendesse soltanto dall’arrivo o meno di nuovi marcatori: si tratterebbe di un errore di immagine. Che l’uomo ed il calciatore non meritano; davvero il più ingrato degli adii.

Lo stesso ragionamento vale per Mirko Gori. Anche su di lui sono circolate voci incontrollate, durante le ultime settimane. Pensare che possa essere in discussione perfino lui vuol dire chiaramente essere indirizzati verso una strategia di salvezza che punta a fare a meno della vecchia guardia. Doloroso, legittimo. Ma come nel caso di Ciofani c’è modo e modo di dirsi addio. Ed anche in questo caso non è possibile non tenere conto di fattori come l’attaccamento alla maglia e il senso di appartenenza. Perché Mirko Gori non indossa una maglia. Mirko Gori è la maglia del Frosinone, è l’orgoglio ciociaro, è il sogno e la fonte di ispirazione per tutti i ragazzini che in provincia fanno parte delle Accademy del Frosinone Calcio.

Quello che va evitato è che anche a Frosinone le bandiere lascino il posto la somma asettica di giocatori intercambiabili e da trattare come figurine.

Viene da domandarsi se un calcio senza bandiere sia la strada più giusta da intraprendere per restare nella massima serie, se a quelli che verranno – ammesso che ciò avvenga – basterà la firma di un contratto per trovare stimoli e motivazioni. Perché un dato è certo: sull’altare della nuova pelle si sta immolando ciò che finora è stato l’unico punto saldo del Frosinone: la forza di un gruppo storico, capace di fare la differenza e di essere terreno fertile nel quale accogliere nuovi innesti.

Si potrà obiettare che solo morendo è possibile rinascere. Congetture. Alle quali solo la fine del mercato e la ripresa del campionato potranno dare torto o ragione.

Di vero c’è che ieri allo Stirpe c’erano molte assenze, fisiche e non. Per la prima volta dopo sei anni mancava quel numero 10. Danilo Soddimo, il figlio adottivo del Frosinone, quello capace contemporaneamente di far arrabbiare e innamorare chiunque. Non c’era Daniel Ciofani – il faro di ogni tempesta – al suo posto un ragazzo pallido con la faccia spenta che salutava i tifosi; non c’era la foga di Gori ma un numero 5 pensieroso e affaticato.

Forse allo Stirpe c’erano solo delle maglie.

E un’aria smarrita e silenziosa.

Come quella di chi continua a cercare l’immagine perfetta di qualcosa che era lì solo un attimo prima, di chi si aspetta di vederla tornare da un momento all’altro ma intanto non la trova più.