Camere di Commercio, abbiamo scherzato: la fusione per ora salta

La Corte Costituzionale, con la sentenza 261, ha bocciato oggi alcuni passaggi fondamentali della legge di riordino delle Camere di Commercio. Si dilatano i tempi. Ecco perché

Scusateci, abbiamo scherzato: l’accorpamento delle Camere di Commercio di Frosinone e Latina non si deve fare. A dirlo è stata in serata la Corte Costituzionale con la sentenza 261.

Scatta subito lo stop ai motori della procedura di fusione. Già erano stati avviati gli iter e nelle prossime settimane sarebbero scattati passi decisivi.

 

LA BOCCIATURA DELLA CORTE

I giudici hanno accolto in larga parte i ricorsi che erano stati presentati dalle Regioni Lombardia, Liguria, Toscana e Puglia. La suprema Corte li ha riuniti ed esaminati insieme.

Il primo concetto stabilito dalla Consulta in queste ore è che per la riforma delle Camere di Commercio serve prima l’intesa in Conferenza Stato-Regioni. Perché è quello “il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione”.

Per gli appassionati di Diritto, i giudici hanno dichiarato

“l’illegittimità costituzionale dell’Art. 3, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), nella parte in cui stabilisce che il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico dallo stesso previsto deve essere adottato «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano», anziché previa intesa con detta Conferenza”.

In parole comuni: la Corte Costituzionale ha dichiara illegittimo l’Articolo 3 della norma (il Decreto Legislativo 219/2016) sul riordino delle Camere di Commercio. Perché lo ha fatto? Perché ha stabilito che il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico per l’accorpamento possa essere adottato “sentita” la Conferenza Stati-Regioni e non “previa intesa” con la Stato-Regioni.

 

I MOTIVI DELLA BOCCIATURA

Nella sentenza 261 della Corte Costituzionale viene ribadito che le Camere di Commercio sono Enti ai quali competono compiti che devono essere uguali in tutta l’Italia. Perché rappresentano “i terminali di un sistema unico di dimensioni nazionali”. Non sono “un arcipelago di entità isolate”. Pertanto “esigono una disciplina omogenea in ambito nazionale”.

Non solo. Viene rilevato che i compiti svolti dalle Camere di Commercio sono riconducibili sia a competenze esclusive dello Stato, sia a competenze che sono per alcuni punti dello Stato e per altri punti delle Regioni.

Ecco perché la Corte Costituzionale ha stabilito che le Regioni vanno pienamente coinvolte nel processo di riforma delle Camere di Commercio.

In che modo vanno coinvolte? Attraverso lo strumento della Conferenza Stato-Regioni.

 

IL PROBLEMA? NON È L’ACCORPAMENTO

La Corte Costituzionale ha stabilito che il problema non è l’accorpamento delle Camere di Commercio, come nel caso della fusione tra Frosinone e Latina che avrebbe creato così una delle prime dieci in Italia per dimensioni.

Tutt’altro. I giudici dicono con chiarezza che non è illegittimo l’intervento del legislatore dal momento che punta a “realizzare una razionalizzazione della dimensione territoriale delle Camere di Commercio ed a perseguire una maggiore efficienza dell’attività da esse svolta, conseguibile soltanto sulla scorta di un disegno unitario, elaborato a livello nazionale”.

Allora dove sta il problema? Proprio il fatto che la riforma va ad incidere su molte competenze, alcune anche di competenza regionale.

Quindi? Per la Consulta l’obiettivo può e deve “essere conseguito nel rispetto del principio di leale collaborazione, indispensabile in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie”.

Non tutti i rilievi sollevati dalle Regioni sono stati accolti dalla Corte. Alcuni di questi sono strati respinti perché ritenuti infondati. Altri perché giudicati inammissibili.

 

COSA ACCADE ORA

Sono validi gli accorpamenti fatti su base volontaria dalle singole Camere di Commercio. la legge lo prevede. E Frosinone con Latina stavano seguendo questa strada: il 4 novembre 2016 avevano avviato l’iter. Ma poi avevano deciso di ritirarlo. Gli accordi prevedevano che il nome del nuovo ente camerale doveva Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Frosinone e Latina. La sede legale doveva andare a Latina, in Viale Umberto I, I 80. Invece la sede operativa doveva andare a Frosinone, in viale Roma.

Chi non aveva avviato l’iter (o l’aveva ritirato, come fatto da Frosinone e Latina) si è affidato al testo della Legge.

Ha disposto che gli attuali presidenti rimanessero in prorogatio, in attesa delle fusione.

Secondo alcuni giuristi, potrebbe accadere uno slittamento in avanti dei tempi di fusione. Ma il tavolo Stato – Regioni in assenza di un accordo politico nazionale, rischia di non trovare un’intesa e di dilatare a dismisura i tempi. Nell’attesa, scadrebbero i mandati di tutti i presidenti e di tutte le giunte Camerali.

Potrebbe essere un tema per il governo che uscirà dalle urne dopo le elezioni nazionali e Regionali di marzo.

Fino a quel giorno, come ha detto la Consulta, abbiamo scherzato.

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