La fusione può attendere: Camere di Commercio, nuovo stop e atti alla Consulta

Camere di Commercio, nuovo stop in vista. Il Tar del Lazio accoglie la questione sollevata da Pavia e manda gli atti alla Corte Costituzionale. Mettendo in discussione l'intera norma

Non cambiate l’insegna, non stampate la carta intestata: la nuova Camera di Commercio unificata Latina – Frosinone potrebbe non vedere mai la luce. E con lei tutti gli altri accorpamenti decisi in Italia. Perché il caso ora rischia di finire al vaglio della Corte Costituzionale.

A chiederlo è stato il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio con l’ordinanza emessa venerdì dalla Sezione III Ter. È il caso che ha visto di fronte la Camera di commercio di Pavia contro la Camera di Commercio di Mantova e quella di Cremona, Unioncamere, Unione delle Camere di Commercio della Lombardia.

Nel ricorso presentato al Tar, Pavia si opponeva al suo accorpamento con Mantova e Cremona. E chiedeva l’annullamento del decreto con cui si dispone la riduzione delle Camere di Commercio italiane, in base alla normativa approvata durante il Governo Renzi.

Esaminati gli atti, il presidente della III Sezione Tre del Tar del Lazio Gianpiero Lo Presti ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata” la questione di legittimità costituzionale sollevata da Pavia. In pratica, ha ritenuto che la legge in base alla quale si sta procedendo agli accorpamenti potrebbe avere dei profili che non rispettano la Costituzione. E per questo ha disposto l’immediata trasmissione degli atti alla Consulta.

I giudici della Corte Costituzionale potrebbero cancellare la riforma. Con lei cadrebbero anche gli accorpamenti decisi in tutta Italia. Tra cui quello che fonderebbe Frosinone con Latina.

La Consulta dovrà valutare se la legge 124/2015 ed il decreto legislativo 219/2016 siano o meno conformi al dettato costituzionale. Nel merito, il Tar del Lazio ha affermato che in una riforma del genere, così importante e con ricadute ampie sul terreno dello sviluppo economico, il Governo non si sarebbe dovuto limitare a chiedere alla Conferenza Stato-Regioni un «parere» ma avrebbe dovuto agire «d’intesa» con la stessa.

Dove sta il problema? La Corte Costituzionale era intervenuta già una prima volta nel dicembre 2017. Quel giorno aveva pronunciato la sentenza 261 bocciando alcuni passaggi fondamentali della legge di riordino delle Camere di Commercio. I giudici avevano accolto in larga parte i ricorsi presentati dalle Regioni Lombardia, Liguria, Toscana e Puglia: stabilendo già allora che per la riforma delle Camere di Commercio servisse prima l’intesa in Conferenza Stato-Regioni. Perché è quello “il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione”. (Leggi qui Camere di Commercio, abbiamo scherzato: la fusione per ora salta)

Il Governo allora se la cavò chiedendo un parere alla Conferenza Stato-Regioni. E proseguì sulla sua strada.

Non basta. O meglio. Potrebbe non bastare, hanno detto ora i giudici del Tar. E per questo hanno rimandato tutto alla Consulta. La fusione può attendere.