Capobianco gela tutti: «Ilva di Patrica? Alla fine ho comprato in Romania»

La verità dell'imprenditore Giulio Capobianco. Fu ad un passo dal comprare la Ilva di Patrica. «Presentammo le credenziali per 4,8 milioni. Iniziammo i sopralluoghi e la progettazione con una quindicina di ingegneri, sotto la supervisione Ilva». Ora ho comprato in Romania

«Io non ho proprio nessuna intenzione di rimettermi in fila. Forse non hanno capito: se vogliono che mi compri la Ilva di Patrica ora devono essere loro a venirmi a cercare. Io nel frattempo ho comprato un altro stabilimento in Romania».

Giulio Capobianco balla sulla poltroncina bianca dello studio di A Porte Aperte. È diventata incandescente nel momento in cui all’imprenditore, titolare di una serie d’aziende d’alta ingegneria industriale, viene letto in diretta il messaggio inviato dall’onorevole Enrica Segneri (M5S).

Il Mise predisporrà il bando, chi vuole risponderà con una manifestazione di interesse. Questo è per tutti.

 

L’onorevole Segneri è la deputata di Frosinone che in Commissione Lavoro a Montecitorio ha seguito lo sviluppo della vendita Ilva al colosso indiano Arcelor Mittal. Nella foga, aveva annunciato che la sede di Patrica del gruppo siderurgico, grazie al suo interessamento era stata ceduta insieme agli stabilimenti di Taranto. Non era così. (Leggi qui Ilva, retromarcia Cinque Stelle: gli indiani non hanno mai comprato Patrica).

Già nel 2016 era tutto pronto infatti per la cessione dello stabilimento alla Demi Engeneering di Capobianco. Che aveva dato garanzie sulla riassunzione di tutti gli 80 lavoratori.

Una storia piena di zone d’ombra. Che proprio Giulio Capobianco ha raccontato ieri sera in diretta su Teleuniverso.

 

«Io presentai un progetto per la riapertura dello stabilimento. Alle mie spalle c’era una società finanziaria inglese pronta ad investire ed apportare i capitali necessari. La cosa era talmente concreta che depositammo al Ministero dello Sviluppo Economico tutti i nostri progetti e pure una garanzia da 4,8 milioni di euro. Nel piano era prevista la riassunzione di tutti i lavoratori e la loro riconversione alle eventuali nuove lavorazioni da fare a Patrica».

 

Cosa intendevate produrre a Patrica?

L’opzione A prevedeva la ripresa della produzione siderurgica. A Patrica venivano fatte alcune particolari lavorazioni dell’alluminio. Se ne ricavavano bobine da 25 tonnellate. Non tutti hanno le capacità per farlo. E questo fece ritenere a me ed ai miei finanziatori inglesi che ci fosse un valore intrinseco che Patrica aveva ed altri no.

 

Parla di Opzione A: ce n’era pure una B?

Si, perché in accordo con alcuni committenti russi, stavamo studiando anche la possibilità di realizzare a Patrica i portelloni per i traghetti delle navi.

 

Il senatore Massimo Ruspandini presente in studio fiuta un dubbio. E piazza subito la domanda: cosa aveva Patrica di così particolare? Perché saltata l’operazione non decise di investire in un altro dei capannoni industriali che sono abbandonati in provincia di Frosinone? Ruspandini non lo dice, mai dargli da pensare è la presenza in scena dell’allora senatore Francesco Scalia: fu lui ad accompagnare Capobianco al Ministero. E la fine di tutto coincide con il momento in cui il parlamentare non è stato più in scena.

Giulio Capobianco ha la risposta immediata. È una risposta tecnica.

«La Ilva di Patrica possiede un unicum industriale. Come dicevo, le bobine che producevano avevano un peso di 25 tonnellate. Per sostenere un peso del genere occorre un pavimento realizzato in una maniera particolare che quasi nessuno ha in provincia. Spostare quei pesi richiede la presenza di carri ponte molto particolari, con spazi elevati. In pratica, un altro impianto come quello non c’era in provincia di Frosinone».

 

A che punto era arrivata la trattativa?

«Mancava solo la firma. Arrivammo al punto che Ilva ci aveva rilasciato un’autorizzazione scritta ad entrare nel capannone e portarci in avanti con i lavori. In pratica, per una quarantina di giorni iniziammo a studiare tutta l’impiantistica, la struttura, la sua rispondenza alle nostre esigenze ed alle nuove norme. Nell’impianto lavorarono ogni giorno una quindicina di ingegneri delle mie società. E tutto avveniva alla presenza di un supervisore Ilva del quale io pretesi la presenza. Ogni sera, a fine giornata di lavoro, redigevamo un verbale nel quale risultava cosa avevamo fatto».

 

Perché se ne fece più niente?

«Non lo so. So soltanto che ad un certo punto iniziai ad avere risposte sempre più evasive. Sono un imprenditore: ripresi i miei ingegneri ed andai ad impiegare il mio tempo altrove».

 

Sarebbe pronto a comprare ancora oggi la Ilva?

«Io nel frattempo ho comprato uno stabilimento in Romania. Qui in Italia ho mantenuto la parte ingegneristica, la progettazione, lo sviluppo… A certe condizioni potrei ancora essere interessato. Ma certo non a quelle condizioni di due anni fa».

 

Gli viene letto il messaggio inviato dall’onorevole Enrica Segneri. Annuncia che ci sarà un bando e chi vorrà si prenderà lo stabilimento. La frase della deputata grillina «Questo è per tutti» fa inalberare Capobianco.

«Questa signora non ha capito. Io non ho proprio nessuna intenzione di rimettermi in fila. Ho investito altrove. In dieci anni nessuno ha fatto una sola proposta, la mia è stata l’unica. Se è così, allora devono essere loro a venire a cercarmi. E ora mando pure la fattura per quei 40 giorni di lavori che abbiamo fatto a Patrica con i miei ingegneri».