C’è chi dice no: da Vasco fino alle Comunali

Il No che contrappone. E rende minoranza. Ma da Vasco a Camus, dai cretini ad Aristotele passando per Husserl si arriva alle elezioni di oggi. Dove contrapporsi al pensiero dominante ha un valore. Ecco quale. E perché

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Ve la ricordate la canzone di Vasco Rossi in cui urlava “c’è chi dice no”. Uno dei suoi  più grandi successi. Torna di moda in questo periodo in cui, come sempre, ad un eccesso di obblighi si contrappone anche un forte movimento di contestazione, di negazione. 

Non è un caso, lessicalmente, se tutte le categorie che vengono considerate ribelli rispetto all’ordine costituito vengano con astuto stratagemma precedute da un bel no.

I no vax, i no green pass, una volta erano i no tav ed i no tap ma poi si sono estinti. Questo bel no che li precede li qualifica li bolla li giudica ante litteram. Un marchio che li anticipa che li mette subito in condizione di inferiorità. Oggi se devi esporre una critica ad esempio sulle politiche del covid devi obbligatoriamente premettere “però non sono un no vax” altrimenti non ti conviene neanche iniziare a parlare.

Ma a me in realtà in questa sede non interessa il contenuto, interessa la definizione. La strategia linguistica che crea dei marchi che automaticamente ti incanalano  in una categoria. Certo che le sciocchezze che si sentono e si leggono attribuite a determinate categorie, in particolare i no vax, non contribuiscono ad una analisi serena. Ma non v’è dubbio che si cerchi di attribuire al no un valore comunque solo negativizzante.

Vasco e Camus

Vasco Rossi ispirato da Albert Camus

Eppure la canzone di Vasco Rossi aveva un carattere orgoglioso positivo quasi di distacco rispetto alla massa. E non poteva essere altrimenti visto che gli stessi autori hanno confessato di essersi liberamente ispirati al libro di Albert CamusL’uomo in rivolta”.

Baste leggere l’incipit del libro per capirlo, recita così: 

Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi. Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il contenuto di questo “no”?

Significa, per esempio, “le cose hanno durato troppo”, “fin qui sì, al di là no”, “vai troppo in là” e anche “c’è un limite oltre il quale non andrai”. Insomma questo no afferma l’esistenza di una frontiera. Si ritrova la stessa idea del limite nell’impressione dell’uomo in rivolta che l’altro “esageri”, che estenda il suo diritto al di là di un confine oltre io quale un altro diritto gli fa fronte e lo limita. Così, il movimento di rivolta poggia, ad un tempo, sul rifiuto categorico di un’intrusione giudicata intollerabile e sulla certezza confusa di un buon diritto, o più esattamente sull’impressione, nell’insorto, di avere il “diritto di…”. Non esiste rivolta senza la sensazione d’avere in qualche modo, e da qualche parte, ragione.”

Ecco ripeto cos’è un uomo in rivolta. Un uomo che dice no. E lo fa convinto di avere ragione.

Se il No è dei cretini

La ricerca tra vero e certo

Fino a ieri era un concetto quasi valoroso dalle lotte per la libertà fino a quelle per il lavoro, per i valori. Tutte sono passate da una rivoluzione. Almeno culturale. Oggi invece dire no è sintomo e sinonimo di cretineria. Che rivoluzione, ma copernicana eh.

Eppure si alza sempre più forte il vento del no in molti campi della nostra esistenza. La cultura, la politica, forse più di tutti in questo periodo di covid la scienza. Ma sbagliamo approccio. Ovvero ci propinano quello sbagliato.

La scienza è diventata l’unica certezza. Pensiamo noi. Ma sbagliamo di grosso. Tra tutte le discipline umane è proprio la scienza quella più in continuo cambiamento, se vogliamo estremizzare la più fallace od in evoluzione continua. Ciò che era vero dieci anni fa oggi potrebbe essere stato già ampiamente superato. In realtà forse anche quello che era vero pochi mesi fa oggi potrebbe essere superato. Intendiamo dunque la scienza come certezza, ma ci delude perché non lo è mai stata.

Da quando l’obiettivo della scienza si è incentrato soprattutto sulla ricerca del “certo” piuttosto che sul “vero”, è di fatto cambiata anche la considerazione che si nutre per essa. La differenza che intercorre tra i due termini è evidente ma di una sottigliezza strisciante. Ci può apparire certa una cosa che in realtà si potrebbe successivamente dimostrare errata e quindi non vera.

La metafisica di Aristotele

Foto © Sara Minelli / Imagoeconomica

Lo scopo della scienza è sempre stato quello di indagare per scoprire le cause. Il primo a sviscerare l’obiettivo del conoscere fu Aristotele. Nel primo libro della sua “Metafisica” scandisce in modo preciso le tappe del pensiero che portano a scoprire il valore della sapienza.

Con l’era moderna si è abbandonata la ricerca della verità, adagiandosi su quanto appare certo. Di conseguenza si è creata una nuova considerazione della scienza che venne abbinata alla certezza. Deriva da questa logica ciò che pensiamo oggi: scienza uguale certezza.

Si è persa in questo modo l’accezione più importante della cultura e del sapere, che consiste nella meraviglia e nella ricerca.

Se si recuperasse questo valore sarebbe molto più facile considerare le ricerche scientifiche per quello che in realtà esse sono: delle teorie che servono da gradini per stadi successivi della conoscenza. Ecco perciò che cadrebbe la convinzione che la scienza sia certezza ma un mezzo per giungere al vero.

Verità o certezza dunque. Oggi abbiamo scelto di credere a delle temporanee certezze ma quanto durerà.

Il progetto di Husserl

Foto: Luigi Avantaggiato / Imagoeconomica

Il problema non è da poco, tanto che a cavallo dei secoli XIX e XX il filosofo austriaco naturalizzato tedesco Edmund Husserl  diede vita a un progetto cartesiano. Si impegnò infatti a cercare di stabilire quanto in realtà sappiamo, e cosa invece crediamo di sapere.

Viste le cose sotto questo aspetto crollano tutte le certezze scientifiche degli ultimi anni. E non ci si stupirebbe più di fronte alle clamorose smentite e ai dietro-front epocali dei ricercatori.

Ai nostri giorni stiamo vivendo lo smarrimento della messa in discussione di molte tra le nostre ex-certezze scientifiche. In primo luogo l’assolutezza della fisica newtoniana, messa a dura prova e di fatto smentita nella sua totalità dalle teorie quantistiche. E tutto quanto ancora soggetto dalla mannaia che si potrebbe abbattere con l’ipotetica scoperta di una “Teoria del Tutto”.

Husserl propose la Fenomenologia. Si trattava di una filosofia che esisteva già, ma a cui Husserl conferì un senso proprio. La riscoperta dei “fenomeni” utilizzando una scienza che parta da zero, senza alcun presupposto. Nella ricerca della verità, che non si misura in base all’utilità pratica.

Il progetto di Husserl fallì non tanto per i motivi che lo spinsero alla riflessione, ma per il tentativo di allargare la sua intuizione al mondo metafisico. Lo studio dei fenomeni si ferma quando si inizia a considerare l’essere e l’essenza dell’uomo.

Allora oggi che valore avrà nella storia chi dice no. Quali ragioni potrà far valere. Ma non parliamo solo di scienza, vale in molti altri campi politica compresa.

Applicato alle elezioni

Foto: Marco Cremonesi / Imagoeconomica

Prendiamo i candidati che hanno detto no ai Partiti tradizionali nelle odierne elezioni amministrative. Uno su tutti Carlo Calenda a Roma. Ma potremmo pure dire a livello locale un Enrico Pavia ad Alatri o un Luca di Stefano o Roberto De Donatis o Eugenia Tersigni a Sora. Come molti altri esempi nei Comuni più piccoli. Avrà un valore quel no? Riusciranno ad arrivare ai ballottaggi, magari a vincerli? Verranno apprezzate quelle scelte di rottura?

Ci basteranno poche ore per saperlo. Ma al di la di eventuali vittorie o sconfitte i sondaggi ci dicono che hanno rilevanza eccome. Che ha spazio politico anche chi dice no. Lo ha dimostrato in particolare Giorgia Meloni volata nei sondaggi da quando ha detto no al governo Draghi. Vedremo che succederà al netto ovviamente dei colpi giudiziari classici degli ultimi giorni di campagna elettorale. Fidanza, Morisi io ci metterei pure Mimmo Lucano. Sembrano mosse di un’altra epoca eppure sono attuali. Eppure incombono i referendum promossi da radicali e lega dove dei si o no potrebbero cambiare molto.

Ma in fondo poco mi importa di tutto questo. Mi piace solo veicolare un concetto che nessuno avrebbe detto meglio di Camus. “Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì.”. In quello stesso rifiuto c’è la nascita di qualcosa di diverso, un nuovo inizio.

Ed un uomo in rivolta, in questo concetto è un uomo coraggioso che sa rompere gli schemi che gli hanno imposto. Che ascolta la voce della propria coscienza, che è convinto della propria verità. Sa cambiare anche se ha sbagliato. Sa ascoltare le voci intorno a lui. Che difende la propria terra. Per questo caro amico mio che oggi sembri vivere nelle nuvole, in attesa di non si sa cosa, ricorda che un uomo forte è un uomo che sa dire no. Allora cosa aspetti a dirlo.

(Leggi qui tutte le riflessioni di Fiorito).

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