Ceccarelli, green sul serio. Non sono il presidente di Legambiente. Sono Stefano.

La visione di Legambiente sul futuro della nostra aria. Occorrono combustibili puliti. I rifiuti interrati inquinano. Meglio trasformarli in metano bio ed in concime per l'agricoltura. Oggi si può fare senza cattivi odori. Il confronto con le altre associazioni. E le accuse gratuite che pesano

Fabio Cortina

Alto, biondo, robusto, sOgni particolari: molti

Stefano Ceccarelli, frusinate classe 1961: è stato uno dei primi ciociari ad avere l’auto ibrida. E poi quella elettrica. È uno che di tematiche ambientali ne ha parlato e ne continua a parlare a livello scientifico, uno che dei cambiamenti climatici è preoccupato sul serio. Stefano Ceccarelli è il Presidente del circolo di cittadino “Il Cigno” di Legambiente a Frosinone.

Nei giorni scorsi ha lanciato il sasso nello stagno sulla questione biodigestore, il sistema con il quale si prendono gli avanzi della cucina e gli sfalci delle aiuole o dell’agricoltura e si mettono a fermentare ricavandone bio metano e concime per i campi. Si è preso insulti ed improperi: qualcuno lo ha definito affarista. Ma ha ricevuto anche applausi: quelli di Green Italia un’altra associazione ambientalista che di lui ha detto “non è solo un galantuomo, ma un monaco dell’ambiente, di rito ortodosso e da decenni. Potrebbe essere contemporaneamente il nonno, il padre e il fratello di Greta Thunmberg”. 

Il tema dell’energia green a Frosinone

Ad oggi si dice “fiero” della discussione che è riuscito a generare. Perché è un ambientalista, non un professionista del “no a prescindere. Un uomo che se gli chiedi perché le auto vanno fermate non ti risponde “perché inquinano”, ma ti dice “perché inquinano, ma soprattutto perché una città senza auto è più vivibile e non farà scappar via i nostri giovani”.

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Il Green, a chiacchiere, è il colore preferito dalla politica. In provincia di Frosinone quanto è stato fatto di green negli ultimi dieci anni?

Quello che vediamo è una operazione di green washing: ecologismo di facciata. Qualcosa è cambiato, certo, soprattutto dal momento in cui ci si è resi conto che rischiamo tutti una catastrofe ecologica. L’altro aspetto che sta facendo muovere qualche passo riguarda la programmazione europea: ci si sta rendendo conto che l’accesso a fondi futuri sarà condizionato anche e soprattutto dalle scelte ambientali. Ma purtroppo, anche su questo si cercano scorciatoie”.

In ogni caso appare chiaro che nel territorio si è visto poco a livello pubblico, nel campo delle scelte politiche. A livello di imprenditoria invece si sono viste cose interessanti, che guardando al futuro hanno guardato all’economia circolare e all’innovazione ambientale. Le scelte aziendali della Novamont di Patrica e di Abb Sace, rappresentano un patrimonio ed un valore aggiunto a cui guardare con attenzione”.

Ripeto, dal punto di vista delle scelte politiche c’è poco e niente. Cito un esempio: la riconversione ex Permaflex. Si tratta di vecchia politica, la logica dell’operazione, se guardiamo al futuro del territorio, francamente mi sfugge. E poi ci sono enormi ritardi nelle politiche dei rifiuti.

Stefano Ceccarelli
Ecco, proprio sui rifiuti è ridondante la logica del “Not in my back yard”, Non nel mio giardino. Come a dire, sono tutti ambientalisti nel territorio degli altri.

Lei sta parlando della questione biodigestore immagino. Bene, nonostante le notti insonni sono contento di aver sollevato un dibattito utile. La discussione stava prendendo una piega pericolosa, dove il “no” facile avrebbe vinto a mani basse. L’avversione verso la sindrome NIMBY (Not in my back yard) noi la abbiamo da sempre. La nostra articolazione territoriale come Legambiente facilita la discussione, perché c’è una preclusione obbligata verso visioni che guardano ad interessi ristretti, noi cerchiamo di avere una visione d’insieme”.

Il biodigestore è un tema difficile e credo che quello che abbiamo fatto, il velo che abbiamo squarciato, è valso la pena. Se noi vogliamo avere l’autorevolezza di dire “no” a qualsivoglia progetto, o imposizione dall’alto, dobbiamo presentare modelli innovativi”.

Legambiente a livello Regionale è stata chiara ed ha detto: “Nel Lazio, se vogliamo guardare al futuro, c’è bisogno di un tot di biodigestori, di cui 2 in provincia di Frosinone”. Come a dire, facciamo qualcosa sennò la monnezza ci seppellirà.

“Sulla tematica abbiamo avuto un confronto serrato, una decisione venuta fuori dopo un confronto orizzontale e verticale, partito dai circoli, allargato al regionale e discusso con il nazionale. Io sono soprattutto orgoglioso del coraggio che abbiamo avuto nel dire la nostra”.

Quello dei rifiuti è un tema taboo, da sempre, ma noi preferiamo analizzare la situazione, piuttosto che lasciare i territori da soli, soprattutto i più piccoli, senza una voce. Per il futuro la logica d’ambito provinciale è la dimensione giusta, anche per avere tariffe più eque e per evitare che centinaia di camion vadano in giro per l’Italia”.

Impianto di biogas Foto © Riccardo Squillantini / Imagoeconomica
Non è semplice però far passare il messaggio, allora le chiedo: se lei dovesse spiegare ad una classe di quinta elementare cos’è un biodigestore, come farebbe?

“Se avessi di fronte dei ragazzini spiegherei loro, innanzitutto, l’importanza della raccolta differenziata. Sono certo che la prima domanda che mi farebbero sarebbe: “Dove va a finire quello che io separo?” A quel punto io gli spiegherei che esistono degli impianti che triturano l’umido, lo separano dalle impurità e che vengono poi sottoposti ad un processo, in assenza di aria, che poi trasforma quegli scarti in un gas che produce energia”.

Una energia pulita che entra all’interno delle nostre case e ci riscalda. E non solo. Perché da un’altra frazione si creerà anche un compost fertilizzante, che andrebbe ad aiutare l’agricoltura, riducendo l’utilizzo dei prodotti chimici”.

Il concetto da capire è uno: in natura tutto si rigenera, tutto si riusa e l’economia circolare serve a far rientrare gli elementi naturali nei cicli naturali.

La vostra associazione è stata accusata di avere una logica affarista…

Sì, e sentirlo mi ha fatto male e non poco. Sono state tirate in ballo vicende inconsistenti e vecchie, da chi aveva solo interesse a danneggiarci. La mela marcia potrebbe esserci ovunque, noi siamo la più diffusa associazione ambientalista in Italia, qualcuno di certo potrebbe essere uscito dai binari. Ma io scommetto e ci metto la faccia sulla nuova generazione che guida Legambiente, che ha una onestà, una freschezza ed un entusiasmo che ammiro”.

La politica della nostra associazione è stata discussa e dibattuta, perché quando si diventa grandi c’è bisogno di stringere alleanze per portare avanti i progetti. Tutti gli accordi stipulati negli anni, sono fatti con una contropartita che va nell’ambito delle nostre politiche. Il nostro marchio noi lo forniamo solo se l’azienda X si impegna a fare una cosa Y (finanziando una campagna a favore dell’ambiente). E allora io mi chiedo: l’integrazione col privato, se trasparente, perché no?

Quanto pensa la logica del “La salute al primo posto” nelle “non scelte” in materia ambientale?

Ha un peso quasi esclusivo. Questa specie di equazione che viene proposta, rischia di essere fuorviante e non restituisce giustizia: non solo alla complessità dei temi ambientali, ma anche alla loro portata strategica. Non può essere ridotto tutto al “difendiamo l’ambiente sennò ci ammaliamo di cancro”. Così si rischia di essere strumentali e non si dà importanza all’urgenza del mutamento globale del nostro pianeta”.

Se non partiamo dai temi drammatici, come ad esempio quelli dei cambiamenti climatici, a mio avviso, non si va da nessuna parte. Così come è sbagliato mettere contrapposti salute e profitto, che vuol dire partire dal presupposto solo di quello che noi riteniamo giusto. Bisogna iniziare a ragionare in base al criterio rischi/benefici, perché in nessuna cosa che si fa esiste rischio zero”. 

Un moderno impianto per la lavorazione dei rifiuti
Facendo un esempio concreto?

Certo. Torniamo al biodigestore: non è che oggi i rifiuti che andrebbero a finire lì dentro non li abbiamo. Quelle immondizie, quelle che produciamo cucinando ogni giorno, un impatto ambientale e sulla salute già ce l’hanno. Se uno presume che qui l’impianto sia un rischio, dovrebbe presupporre che lo è anche altrove”.

Tornando agli affari. Perché le immondizie per la criminalità sono una ricchezza e per la società civile sono puzza?

Bisogna fare un distinguo. I rifiuti si trasformano in una ricchezza, ma illecita, quando vengono smaltiti in maniera illecita. Questo è quello che fanno le Ecomafie. E la società civile deve fare di tutto per evitare che ciò accada. Fare profitti, leciti, è sicuramente più difficile. Con un perfetto smaltimento e riutilizzo delle immondizie non ci si arricchisce quanto fanno le malavite, ma il giusto profitto si può avere. Impianti di riciclo e riutilizzo della frazione umida, gestiti da una società mista pubblico-privata, potrebbero essere una soluzione per rassicurare la cittadinanza sulla trasparenza di ogni passaggio. L’idea di una società mista, personalmente, mi piace, però non mi sento di dirlo a nome dell’associazione. Una cosa è certa: non sempre il pubblico si è dimostrato all’altezza. 

A proposito di immondizia: non vi eravate un po’ affezionati alla discarica di Via Le Lame? Scherzi a parte, l’iniziativa della Regione è un qualcosa di epocale. (Leggi qui La discarica di via Le Lame? Lasciatela stare dove sta).
La discarica di Via Le Lame a Frosinone

C’è grande soddisfazione per questo primo stanziamento e noi come circolo di Legambiente abbiamo sempre detto che in sostanza la bonifica dell’ecomostro, doveva essere la priorità assoluta nel piano che riguarda l’intero SIN della Valle del Sacco. Siamo lieti di questi primi fondi, ma siamo consapevoli che ci vorranno molti altri soldi. Quello che chiediamo ora alla Regione è che si cerchino di ottenere, al più presto possibile, i dati sul livello di contaminazione della falda acquifera perché solo da lì partiranno le contromisure per la salvaguardia delle popolazioni limitrofe.

Siamo partiti dal green e concludiamo col green. Quella delle PM10 è una questione tanto annosa quanto complessa. Voi siete sempre sicuri che il problema principale sia limitare la circolazione veicolare senza far nulla sulle emissioni dei riscaldamenti domestici?

Bisogna essere seri e sinceri: sulle Pm10 se partiamo dai dati scientifici il problema delle biomasse è più che importante. E’ innegabile. Questo problema però è difficile da aggredire, perché ha a che fare con la riconversione di impianti di riscaldamento, di stufe, camini e tradizioni secolari. Però è altrettanto chiaro che almeno il 30% del particolato arriva dalle emissioni veicolari. Limitare le emissioni dei mezzi di trasporto è più semplice, senza dimenticare che le emissioni prodotte dalle auto sono all’altezza dei nostri nasi e le centraline che le rilevano sono molto più in alto. Io però metto sul campo anche un’altra questione.

Quale?

Non avere il coraggio di limitare l’uso delle auto porta ad avere delle città invivibili. Avere meno auto in giro significa riuscire a costruire delle città che siano davvero a misura d’uomo. Città di livello europeo, più gradevoli e da cui i nostri giovani non emigrino.