La burocrazia costa 100 miliardi l’anno alle imprese. Male antico e danni moderni

Foto © Carlo Carino / Imagoeconomica

La CGIA di Mestre mette a nudo una realtà ovvia ma ancora ignorata. Troppe leggi, poca digitalizzazione e fornitori non pagati. Il Leviatano dei passacarte è servito. Con le grandi province industriali che pagano più di tutte.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

In Italia i burosauri non si estinguono, lo dice la CGIA di Mestre, l’osservatorio economico tra i più affidabili. E il dato è inquietante: la burocrazia non morde proprio lì dove l’impresa non ha picchi operativi. Mentre sbrana dove le partite Iva reggono l’economia, come a Milano, Roma, Torino e Brescia. E il chaier des doleances italiano è quello con più pagine fra quelli dell’Unione. Tra tutti gli imprenditori dell’area dell’euro intervistati dall’Unione europea, gli italiani sono quelli che hanno denunciato con più veemenza degli altri. Cosa? La complessità delle procedure amministrative a cui sono sottoposti.

In difficoltà 9 imprenditori su 10

La burocrazia pesa sulle imprese italiane per 100 miliardi di euro Foto © Carlo Carino / Imagoeconomica

Su dieci intervistati, nove hanno affermato di essersi trovati in grave difficoltà. Quando? Ogni qual volta hanno dovuto applicare le disposizioni richieste dai nostri uffici pubblici.

Come a dire che prima del rischio fisiologico di impresa c’è un affanno a monte. Quello di metterne su carta finalità, obiettivi e procedure. Un vero capestro insomma. Lo spiega l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre. Tra moduli da compilare, certificati da produrre e adempimenti da espletare, la nostra Pubblica Amministrazione continua ad alimentare la malaburocrazia.

Che nel nostro Paese ha ormai raggiunto una dimensione non più accettabile.

A sostenerlo è il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo. In merito all’incidenza delle ‘carte’ sugli affari quest’ultimo fornisce cifre monstre. «La stima del costo che incombe sul nostro sistema produttivo per la gestione dei rapporti con la PA ammonta a 57,2 miliardi di euro. Il cattivo funzionamento del nostro settore pubblico grava sul sistema produttivo italiano per quasi 100 miliardi di euro all’anno».

Ai 57 miliardi di euro originari vanno infatti aggiunte cifre. «I mancati pagamenti da parte dello Stato centrale e delle Autonomie locali nei confronti dei propri fornitori». Il che porta al dato per cui «il cattivo funzionamento del nostro settore pubblico grava sul sistema produttivo italiano per quasi 100 miliardi di euro all’anno».

Chi accusa di più il colpo

Troppe, leggi, troppi passaggi e fornitori non saldati dalla PA

Nell’elenco delle province dove il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la PA è superiore, Roma è al secondo posto con 5,37 miliardi di euro. A precederla c’è solo Milano con 5,77 miliardi di euro.

Seguono Torino con 2,43, Napoli con 1,97, Brescia con 1,39 e Bologna con 1,35 miliardi di euro. Le realtà imprenditoriali meno “soffocate” dalla burocrazia sono tutte del centro sud. Sono Enna (87 milioni di euro), Vibo Valentia (82 milioni) e Isernia (56 milioni di euro).

Frosinone è a metà classifica: al 44mo posto con costo di 363 milioni di euro. Latina la precede al 37mo posto: lì il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione è 413 milioni di euro. Viterbo si posiziona molto più giù: a quota 75 della classifica con un costo stimato di 220 milioni di euro. Rieti è al quart’ultimo posto: appena 96 milioni di euro all’anno, seguita da Enna, Vibo Valentia ed Isernia.

Il Lazio è la seconda regione in Italia dopo la Lombardia. L’elaborazione dell’Ufficio Studi CGIA fatta partendo dai dati The European House Ambrosetti e Istat dicono che la regione produce l’11,3% del Valore Aggiunto nazionale (la metà di quello prodotto invece dalla Lombardia). Il costo anno per rapportarsi con la Pubblica Amministrazione è 6.463 milioni di euro (in lombardia 12.625).

Il Covid ha complicato di più

Il professor Gino Scaccia © Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica

Non ha migliorato la situazione la pandemia di Covid-19. Basti pensare allo studio effettuato dal professor Gino Scaccia costituzionalista originario di Frosinone che insegna nell’università Luiss Guido Carli di Roma ed a Teramo: in 54 giorni il Governo Conte 2 ha prodotto circa mille pagine di provvedimenti legislativi. (leggi qui Covid, in 54 giorni oltre mille pagine di norme: Scaccia e la giungla delle leggi).

Molti di questi provvedimenti sono stati giudicati da CGIA pressoché indecifrabili: è il caso del decreto liquidità che ha messo in grosse difficoltà le strutture operative sia delle banche sia del Fondo di garanzia gestito dal Mediocredito Centrale. A distanza di 10 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, infatti, nessuna impresa era ancora riuscita a ottenere 1 euro di prestito.

A questo va aggiunto il lavoro supplementare al quale sono stati chiamati per parecchie settimane i commercialisti, consulenti del lavoro e associazioni di categoria. Sono stati letteralmente sommersi dalle telefonate degli imprenditori che non sapevano se e come potevano far slittare il pagamento delle tasse, come ricorrere alla cassa integrazione, come e quando sarebbe stata erogata.

La soluzione: meno leggi

La soluzione, per la CGIA è senza mezzi termini. Meno leggi-lacciuolo, in numero e merito peloso, procedure speed e digitalizzazione a tutto campo.

«Diminuire le norme presenti nel nostro ordinamento, semplificare le procedure e introdurre controlli successivi rigidissimi. Questo incentivando il meccanismo del silenzio-assenso. Senza poi dimenticare che bisogna digitalizzare tutti i soggetti pubblici. Agevolando inoltre il dialogo tra le loro banche dati. Questo per evitare la duplicazione delle richieste che periodicamente travolgono cittadini e imprenditori ogni qual volta si interfacciano con un ufficio pubblico».

Abuso d’ufficio: nessuno firma più

Ma non basta potare le leggi. Bisogna anche intervenire su quelle in vigore. Leggi che sono di fatto pastoia per la pubblica amministrazione e, di conseguenza, freno all’impresa.

Sono ‘inciampi’ che anche in provincia di Frosinone, hanno tolto respiro al rapporto fra PA ed imprenditori. Lo ha sottolineato proprio qualche giorno fa un disilluso Francesco Scalia. Da Presidente della Provincia lui con i reati-format per chi vuole amministrare agilmente ci dovette fare i conti.

Tutto rimanda ad un numero preciso del Codice penale: 323 CP. «Bisogna depenalizzare il reato di abuso di ufficio che, purtroppo, dissuade tanti dirigenti pubblici ad apporre la firma. Con la conseguenza di rallentare enormemente lo smaltimento delle pratiche nell’edilizia, nell’urbanistica e nel settore degli appalti. Vanno premiati i dirigenti/funzionari che si comportano correttamente. E che rendono efficienti le proprie aree di influenza. L’aumento della produttività, anche nel pubblico, va riconosciuto economicamente»