Chiamami col tuo nome? No, il falò delle vanità (di C. Trento)

La nuova grande occasione persa da Frosinone. Per dimostrare di essere un territorio moderno, capace di confrontarsi su un tema serio ed in modo alto. Invece solo scaramucce di quarta serie. Soprattutto i Partiti hanno perso un'occasione

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

Ancora una volta la Ciociaria ha perso l’occasione di scrollarsi di dosso l’etichetta del provincialismo. Non tanto con riferimento alla giornata di ieri, quella della sfilata del Lazio Pride. Quanto, anzi soprattutto in relazione al dibattito che è mancato prima.

Una riflessione di alto livello, magari supportata da argomentazioni “pro”o“contro” quello che non rappresenta un fenomeno di costume ma un estrinsecarsi di diritti che hanno a che fare con le persone. Richiamando inevitabilmente anche il concetto di famiglia.

Ci sono idee e sensibilità diverse, che vanno alimentate nel contraddittorio. Possibilmente di alto livello. Evitando atteggiamenti tesi da irridere da una parte e ad imporre il proprio pensiero dall’altra.

Invece in provincia di Frosinone poco o nulla si è fatto per affrontare l’argomento da ogni tipo di angolatura. Favorendo un dibattito, magari promuovendo perfino (perché no) una rassegna cinematografica sul tema. Un film come “Chiamami col tuo nome”, di Luca Guadagnino, poteva servire per approfondire un mondo che resta importante ma anche “tormentato”. Specialmente in un contesto provinciale. Invece nulla.

Dalle parti nostre, come al solito, a predominare sono state le battaglie di quarto livello, tutte caratterizzate da un retropensiero politico. Perfino partitico. Polemiche a raffica, per giorni e giorni, sul patrocinio e sul percorso della sfilata del Lazio Pride. Alla fine ha deciso la Questura, togliendo la politica dall’imbarazzo.

Daniele Maura, esponente di spicco di Fratelli d’Italia (nonché presidente del consiglio provinciale), ha ritenuto opportuno mettere in rete un post nel quale sostanzialmente il Lazio Pride veniva equiparato ad una carnevalata. Dopo pochi minuti le polemiche avevano ampiamente superato il livello di guardia. Con una appendice inattesa però: nel Partito Democratico in tanti chiedevano ad Antonio Pompeo di ritirare le deleghe attribuite a Maura. Andando in sostanza a mettere il presidente della Provincia all’angolo. E Pompeo ha risposto in aula, senza risparmiare un contrattacco altrettanto frontale.

Mentre il Lazio Pride era scomparso dal dibattito. Per la verità non c’era mai stato.

Facciamoci del male Attualità di Nanni Moretti

Osservi il Partito Democratico, anche in provincia di Frosinone, e ti rendi conto che nulla è cambiato. Probabilmente neppure cambierà mai. Viene in mente la celebre frase di Nanni Moretti: “Continuiamo così, facciamoci del male”.

Basta registrare la cronaca politica dell’ultima settimana. Martedì scorso il senatore e segretario regionale del partito Bruno Astorre viene a Frosinone per una missione tanto impossibile quanto “grottesca”: mandare il messaggio che la vittoria dei Democrat alle comunali (indubbia e netta) è avvenuta nel segno dell’unità. (leggi qui I sassolini di Astorre sulle elezioni a Frosinone).

Sanno tutti che non è così, che nonostante il successo comune ad imperare sono state ancora una volta le correnti. Con i loro veti e con quella insostenibile necessità di mantenere a tutti i costi equilibri fragilissimi ma vitali. A Cassino il sindaco Enzo Salera e Barbara Di Rollo (la più votata in assoluto) l’hanno detto in modo esplicito. Ma purtroppo il Pd, neppure quello zingarettiano, può prescindere dalle “correnti”. Allora tanto vale ricucire comunque, annunciare urbi et orbi che le vittorie sono di tutti. E Bruno Astorre ha fatto anche questo. Insieme allo stato maggiore locale del Partito.

Il giorno dopo però, subito dopo il post di Maura, il Pd si è scatenato. Non soltanto nella difesa della sfilata del Lazio Pride (ci sta), ma pure nell’accerchiamento a Pompeo. Ora, magari non era lui il bersaglio politico, però quante volte in politica ci sono state vittime del “fuoco amico”? E in ogni caso, possibile che nessuno abbia sentito il bisogno di cercare di non far debordare il “correntismo”? Non lo ha fatto neppure Bruno Astorre.

In realtà poco o nulla è cambiato dall’autunno del 2014, quando il Partito Democratico si divise proprio sulla candidatura alla presidenza della Provincia di Antonio Pompeo. Tra Francesco Scalia e Francesco De Angelis. Poi di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima. Alla fine però il “richiamo della foresta” viene fuori. Inesorabilmente. Perché all’interno del Partito restano le due componenti, quella maggioritaria di Francesco De Angelis, Mauro Buschini e Sara Battisti, e quella minoritaria di Antonio Pompeo.

Nicola Zingaretti sta provando con tutte le sue forze a mantenere unito il partito, a tenere dentro Carlo Calenda e i renziani. Ma è il primo a sapere quanta fatica costi questa operazione. Perché il “facciamoci del male” di Moretti fotografa ancora perfettamente quella e questa situazione.

Lega padrona E la “movida” di Forza Italia

La politica è lo specchio di momenti storici del Paese. Nella Lega c’è soltanto il Capitano, Matteo Salvini. Decide lui, non altri. Questa impostazione si traduce pure nei territori.

In provincia di Frosinone, per esempio, l’onorevole e coordinatore regionale Francesco Zicchieri ha imposto non soltanto la sua linea, ma soprattutto l’organigramma politico. Coordinatore provinciale del Carroccio è Francesca Gerardi. Poi diversi “vice”, nella logica del più si divide (il potere), più si impera. (leggi qui Lega, la firma di Zicchieri (di C. Trento))

Se nella Lega a livello provinciale qualcuno non ha ancora capito che è Zicchieri a decidere (e basta), allora meglio che cambi Partito.

In Forza Italia invece solito colpo di teatro di Silvio Berlusconi: Giovanni Toti e Mara Carfagna coordinatori per preparare il congresso dell’ennesima svolta annunciata. Come succede da 25 anni, tutti presi in contropiede. Specialmente a livello locale. Dove con Antonio Tajani, tanto per essere chiari, è rimasto soltanto Danilo Magliocchetti. Gli altri si stavano riposizionando: Mario Abbruzzese, Pasquale Ciacciarelli e Tommaso Ciccone con Adriano Palozzi e Antonello Aurigemma. I giornali nazionali li avevano soprannominati “i totiani del Lazio”.

Nessuno si meravigliava, in quel tipo di contesto, di sentire pronunciare perfino la parola “scissione”. Mentre il senatore e coordinatore regionale Claudio Fazzone da tempo va avanti per la sua strada. Con lui Gianluca Quadrini. Anche in Forza Italia l’unità è un’illusione ottica. È sempre stato così, soltanto che adesso le percentuali sono quelle che sono. Neppure si avvicinano al 10%.

Ecco perché nel panorama politico provinciale perfino i riposizionamenti non vanno oltre quelle che sono le legittime ambizioni dei singoli. In buona sostanza non si va oltre il falò delle vanità.

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