Chiamano Pace il deserto che hanno provocato

La tragedia in Ucraina. Dove pensiamo di cavarcela con qualche click. Sono bastati gli aumenti di pasta e benzina per farci vacillare.

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra (Fil. 3,17)

Di fronte alle drammatiche immagini della popolazione ucraina sottoposta da due settimane ad una guerra di aggressione, abbiamo reagito. Lo abbiamo fatto esprimendo la nostra solidarietà in tanti modi. Abbiamo contribuito, dato materiali, offerto ospitalità per i tanti profughi, famiglie spezzate negli affetti. Per mettere in salvo donne e bambini mentre mariti, padri e figli sono rimasti a combattere. Abbiamo visto la dignità di un popolo minacciato di perdere la sua libertà, riacquistata dopo secoli di sudditanza ora ad un potere imperiale ora ad un altro… Ma sono bastati gli aumenti della benzina e della pasta per farci vacillare.

Come se esprimere solidarietà ed affiancare la vittima contro l’invasore fosse una cosa da salotto, da “mi piace” espressi con un click, senza neppure prendersi la briga di approfondire, di informarsi.

Foto: Ukrainian Police Department Press Service

In queste ore stanno arrivando nel nostro territorio le prime famiglie ucraine: sono mamme e bambini. Ecco, proviamo a chiedere loro perché hanno affrontato un viaggio di quasi tremila chilometri, lasciando le loro case, le loro terre, le loro scuole, le loro attività, senza sapere quando sarà possibile ritornarvi e in quali condizioni potranno riprendere la vita normale e soprattutto se troveranno vivi mariti e figli, che hanno lasciato a difendere la loro patria.

Cerchiamo di parlare con loro prima di cedere alla propaganda di chi è arrivato a dire che non è vero, non c’è guerra a Kiev, è il solito inganno della comunità internazionale che vuole imporci una falsa verità.

Ragionare con il ventre

Parliamo con queste donne. Altrimenti ha ragione la Parola: ragioniamo con il ventre, ci facciamo guidare soltanto dai nostri interessi, ci lamentiamo degli aumenti senza pensare alla fortuna che abbiamo di non vivere sotto le bombe; di non essere costretti a scappare, di diventare profughi, sfollati come li chiamavano nella Seconda guerra mondiale.

Proprio questa terra, che per tanti mesi è stata teatro di guerra, dal dicembre del 1943 al giugno del 1944, dovrebbe ricordare cosa significa la guerra, ripudiare ogni linguaggio, ogni ragionamento che non cerchi la pace, anche se questo dovesse costarci qualche centesimo in più, o una crociera di meno, anche se dovessimo ridurre un po’ il riscaldamento delle nostre abitazioni e magari rinunciare alla luce per le strade.

Tutto è perduto con la guerra

Dobbiamo cogliere questa occasione per insegnare ai nostri ragazzi che davvero con la guerra tutto è perduto. E che quindi bisogna fare ogni sforzo per la pace: che non è il cedimento inerme alle richieste dell’aggressore, ma la ricostituzione di quella giustizia senza la quale non esisterà pace.

Dobbiamo far sì che non prevalgano i linguaggi dell’odio ma soltanto quelli della pace.

Quasi duemila anni fa, uno storico romano di nome Tacito, nel descrivere la conclusione della guerra in Britannia, vinta dalle legioni romane, fa pronunciare al caledone Calgaco, sconfitto da Agricola, ubi solitudinem faciunt pacem appellant, chiamano pace il deserto che hanno provocato…

(Leggi qui qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti).