Cinque cerchi in frantumi

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

La fine dei Giochi è stata “battuta” vorticosamente dalle agenzie di stampa e dai siti on line di tutto il mondo. Nicola Ottaviani sapeva perfettamente che il colpo di scena non sarebbe arrivato, che la cronaca del no largamente annunciato avrebbe avuto un epilogo scritto da tempo. Nonostante questo il sindaco non nasconde l’amarezza: «Con grande umiltà ci eravamo messi a disposizione per dare una mano, lontano dai riflettori. Abbiamo detto subito che l’intenzione non era quella di organizzare le Olimpiadi (ci mancherebbe altro), ma di offrire un contributo nell’ottica, sempre sbandierata, della città metropolitana. La sindaca Virginia Raggi ha deciso diversamente, ignorando ogni appello». Poi Nicola Ottaviani argomenta: «La mozione approvata dal consiglio comunale di Roma afferma che le Olimpiadi non si possono tenere nella Capitale in quanto, “di fronte ad un’approfondita analisi che ha preso in considerazione il mutato contesto economico e socio-politico di Roma, si ritiene che non sussitono più le condizioni per proseguire nella candidatura”. Un’affermazione del genere non è semplicemente risibile da un punto di vista politico ed amministrativo, ma è anche estremamente grave sotto il profilo della credibilità internazionale della Capitale. Infatti, sconvolgere la programmazione economica del Comune di Roma e del resto del Paese nel quale si sarebbero ospitate le Olimpiadi, significa dare prova di grande instabilità sul palcoscenico internazionale,minando anche per il futuro qualsiasi aspirazione italiana di poter sedere con rispetto al tavolo dei grandi ».

Aggiunge Ottaviani: «Immagino come in queste ore Parigi stia gongolando dietro le scrivanie istituzionali. Perché in questo caso, a differenza di quando si affrontano le Nazionali di calcio, la partita è stata vinta 3-0 a tavolino dai “galletti” transalpini. Senza che l’Italia, a causa delle Raggi, scendesse in campo. Però siamo anche abituati alla volubilità di una parte dei romani che in alcuni casi, davanti a risultati pseudoplebiscitari, hanno dimostrato di cambiare idea in modo repentino. Penso all’esempio dell’ex sindaco Ignazio Marino».

Continua Ottaviani: «La decisione di negare le Olimpiadi ad ogni costo non tiene conto di nulla e non è un grande esempio neppure sul piano della democrazia del confronto. Assomiglia, metaforicamente, al gesto dell’imperatore romano che, con il pollice verso, decideva sulla vita o sulla morte dei singoli. Un’immagine relegata alle pagine della cinematografia sulla scorta di una lettura storica. Purtroppo però la realtà è che l’Amministrazione comunale di Roma non ha voluto cogliere un’occasione in grado di produrre sviluppo e rinnovamento ». Il presidente del Coni Giovanni Malagò ha commentato a caldo: «Devo incontrare il presidente del Comitato Olimpico Internazionale Bach. Però parto dal presupposto che una candidatura senza il consenso della città perde credibilità. È più unico che raro essere fermati a tre quarti della corsa. Nei prossimi giorni incontrerò il presidente del Cio, bisogna raccontargli i nuovi fatti ». Nel documento sottoscritto congiuntamente i sindaci dei quattro Comuni capoluogo avevano rilevato fra l’altro «che l’evento potrebbe essere gestito direttamente dallo Stato, per il tramite del Governo o di un commissario straordinario».

Dice Ottaviani: «Sì, ma il presupposto era rappresentato dalle Olimpiadi di Roma Capitale 2024. Non so come si evolverà l’intera vicenda. So che è stato detto no a 178.000 nuovi posti di lavoro e a 7 miliardi di investimento. Il tutto perché la sindaca Raggi e il Movimento Cinque Stelle sono rimasti innamorati dei propri pregiudizi».