Cinque condizioni per i Cinque Stelle: o così o si va al voto

Le cinque condizioni indicate dalla Direzione Nazionale Pd per sedersi al tavolo con i 5 Stelle. Approvate all'unanimità. Non accadeva da 6 anni. Zingaretti pretende discontinuità. O si torna al voto. Venerdì o lunedì nuovo vertice

Dicono che sia assediato e che sia solo contro tutti. Ma le cinque condizioni dettate dal Segretario nazionale Nicola Zingaretti sono state approvate all’unanimità dalla Direzione del Pd: è la prima volta che accade dopo sei anni.

Nicola Zingaretti. Foto: © Imagoeconomica, Benvegnu’ Guaitoli

Un lungo applauso saluta quel voto compatto. Nel Paese tira aria di elezioni, Romano Prodi intravede la via per il Quirinale, Zingaretti in questo momento ha pochi amici: tutti elementi che fanno pendere l’ago della bilancia verso la formazione di un nuovo governo. Il Segretario lo sa e sa anche che rischia di essere la catastrofe per il Partito. Per questo alza subito un muro capace di consolidare il Pd, renderlo inattaccabile, capace di affrontare la sfida con cui salvare i conti del Paese ma senza assolvere chi nel M5S è stato complice dei disastri.

L’architettura è chiara. Non lascia spazio a dubbi. «Serve un Governo forte: chiarezza e nessuna confusa ammucchiata» altrimenti si va al voto. Fosse per lui si sarebbe già in campagna elettorale: per agganciare l’onda favorevole alla tenuta del Pd, riprendersi parte di ciò che nel marzo 2018 è andato ai 5 Stelle. E per riequilibrare i due gruppi parlamentari disegnati in maniera etnica da Matteo Renzi quando era lui a governare il Partito.

© Imagoeconomica, Stefano Carofei

La Costituzione e la democrazia interna però dicono che «Abbiamo la responsabilità e il dovere di verificare se esiste una nuova maggioranza parlamentare». Se così deve essere, il Segretario è pronto a portare il Pd a sostenere un governo: ma pone cinque condizioni invalicabili. Sono il presupposto per aprire un confronto con il Movimento 5 stelle.

Il presupposto è: niente balle agli italiani, servono 23 miliardi per far quadrare i conti nella prossima manovra e non si trovano nei cassetti. Zingaretti definisce la prossima manovra “mostruosa“. Si deve stabilire cosa tagliare e da dove prendere i soldi. Per farlo occorre un progetto almeno triennale: che metta il Paese sui binari del risanamento.  

È la responsabilità a tracciare la rotta. Dice Zingaretti: “Tocca a noi muoverci e provare a indicare una strada. Di fronte alla situazione drammatica del Paese abbiamo il dovere come forza democratica di dare disponibilità e verificare se esiste la possibilità di dare vita a una maggioranza parlamentare nuova, forte, di discontinuità e di larga base parlamentare che convinca le persone delle nostre ragioni».

MATTEO RENZI Foto: © Imagoeconomica, Benvegnu’ Guaitoli

Deve essere chiaro però che non c’è attaccamento alla poltrona, non è in alcun modo un tentativo di fuga dalle urne. «La nostra proposta deve essere chiara, lineare, trasparente, per evitare a tutti coloro che tenteranno questo
esperimento l’accusa di trasformismo. Nessuna confusa ammucchiata
».

Il documento approvato all’unanimità e per acclamazione, si apre con una critica severa al governo gialloverde. «La Direzione Nazionale del Partito Democratico giudica la caduta del governo lo sbocco naturale e necessario del fallimento della maggioranza gialloverde, responsabile di una paralisi dell’economia, di un impoverimento diffuso, di un tessuto imprenditoriale ulteriormente provato e di un isolamento senza precedenti dell’Italia sulla scena europea e internazionale».

Poi arrivano i cinque caposaldi. Il primo è l’Europa: il Pd è disposto a sedersi al tavolo solo se il M5S riconosce «l’impegno e l’appartenenza leale all’UE»; significa abbattere un altro dei suoi principi fondanti.

E poi «Il pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa incarnata dai valori e dalle regole scolpite nella Carta Costituzionale a partire dalla centralità del Parlamento». Insomma: basta non statuti, via i non Partiti, va bene uno vale uno ma è diverso da uno vale l’altro, o si accettano le regole della democrazia o non si può proseguire.

Il terzo punto è la negazione di buona parte delle politiche economiche attuate fino ad oggi da Luigi Di maio. la Direzione Nazionale Pd mette come presupposto «L’investimento su una diversa stagione della crescita fondata sulla sostenibilità ambientale e su un nuovo modello di sviluppo. Una svolta profonda nell’organizzazione e gestione dei flussi migratori. Fondata su principi di solidarietà, legalità sicurezza. Nel primato assoluto dei diritti umani, nel pieno rispetto delle convenzioni internazionali. E in una stretta corresponsabilità con le istituzioni e i governi europei. Una svolta delle ricette economiche e sociali a segnare da subito un governo di rinnovamento in una chiave redistributiva e di attenzione all’equità sociale, territoriale, generazionale e di genere. In tale logica affrontare le priorità sul fronte lavoro, salute, istruzione, ambiente, giustizia».

Significa ridefinire il Reddito di Cittadinanza, snellire le procedure per le imprese, individuare forme di sostegno allo sviluppo ed all’occupazione; altro che gli ecobonus che hanno ingrassato le case automobilistiche straniere e mandato in cassa integrazione centinaia di lavoratori della principale azienda automobilistica nazionale.

Zingaretti e Buschini

Significa anche rivedere le politiche migratorie e quella parte del decreto sicurezza che ci ha fatto isolare in Europa.

C’è infine il caposaldo dell‘Iva: «Evitare l’inasprimento della pressione fiscale a partire dalla necessità di bloccare con la prossima legge di bilancio il previsto aumento dell’IVA».

Se il M5S accetta ci si siede al tavolo. Altrimenti si va al voto.

Non si tira per le lunghe: la Direzione è riconvocata a venerdì o al massimo lunedì.

© Imagoeconomica

Nelle file del Movimento 5 Stelle è scattata la consegna del silenzio. Gli unici a parlare sono Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli. Lo fanno per dire «il MoVimento 5 Stelle si affiderà alla volontà del presidente Sergio Mattarella. Segnerà la strada da seguire dopo che Matteo Salvini ha aperto un’assurda crisi di governo». Ma c’è un segnale politico. «Il MoVimento è unito e compatto intorno al capo politico Luigi Di Maio. Siamo un monolite. E adesso siamo concentrati sulle consultazioni».

Poi però il Partito rilascia una dichiarazione ufficiale. È la consegna del silenzio. «Il M5S ritiene opportuno in questa delicatissima fase per il Paese attendere l’esito delle consultazioni che dirigerà il capo dello Stato Sergio Mattarella».