Con le destre presentabili la Schlein ha ancora il respiro corto

Perché ci sono territori nei quali il centrodestra vinceva e continua a vincere a prescindere da Giorgia Meloni. E perché le destre presentabili sono un problema per il Pd di oggi

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Se c’è in giro qualcuno che obiettivamente si aspettava che il Partito Democratico andasse a meta per le Regionali in Friuli Venezia Giulia alzi la mano. Lo faccia e poi scompaia. Perché vorrebbe dire che la politica è diventata roba da libro dei sogni e non da progetto geometrico. L’esito del voto nella Regione che sarà ancora guidata da Massimiliano Fedriga offre tre spunti importanti di riflessione.

Che a loro volta riflettono parte dei loro meccanismi conoscitivi nelle altre regioni con caratteristiche simili. In primis il Lazio dove è successa più o meno la stessa cosa.

Amministratori, non pasdaran

Massimiliano Fedriga (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Si, ma cosa? Quella faccenda apparentemente pretonzola ma micidiale per cui dove la destra è “presentabile” ed esibisce amministratori e tecnici più che pasdaràn da latrato facile lì la destra non la batti. E non la batti non solo perché l’onda lunga del melonismo non è ancora calata a risacca floscia e consente un surf quasi impunito. No, usare solo quella maniglia cognitiva sarebbe sbagliato.

Il dato secondo è quello per cui c’è una differenza nettissima fra la politica concettuale e polarizzata e quella parte praticona della politica che poggia sul governo dei territori. Un amministratore quadrato che è più espressione della sua terra anziché del suo Partito oggi è la matta del banco. Fedriga, Zaia, Fontana, Giani e, caso iconico fra le icone, Vincenzo De Luca, sono molto di più delle loro tessere e molto di meno dei grandi afflati che quelle tessere richiedono.

In Veneto Luca Zaia ad esempio ha appoggiato in punto di perfetta legittimità il diritto a cambiare sesso e si è preso le randellate sintattiche di CasaPound. Come lo batti uno del genere se non puoi colpirlo sulla mistica della destra paleolitica e se fa cose più prog di te?

Ecco perché le prendono

Elly Schlein (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Perciò i loro antagonisti le prendono e di solito le buscano in maniera netta: perché vanno contro persone con una mistica soft come Rocca nel Lazio e con una verve praticona gigante che li mette direttamente alla portata della valutazione benevola di chi è chiamato a sceglierli o confermarli.

Ma c’è anche un terzo elemento, ed è quello per cui, nel caso di specie dei governatori di destra-centro da battere, la forza deputata più di tutte a farlo ha ancora il respiro corto. Il Pd di Elly Schlein è un po’ come quei palestrati talebani che sullo sforzo breve sono capaci di alzare peso, panca, cassapanca, sparring e cuccia del cane ma che se gli fai fare una corsa di sei chilometri sputano a terra pezzi di polmone già al secondo. E l’effetto di una polarizzazione che ha portato la Schlein al pignolo contrasto su ogni punto immaginabile della linea di Palazzo Chigi ma senza che arrivasse l’ampio respiro dei progetti studiati e incasellati sul medio e lungo temine.

Non è un caso che una delle battaglie interne della neo segretaria sia non solo quella di dare di colla alla flebile “pax bonacciniana”, ma anche quella di scalzare le monarchie territoriali chi il Pd ha visto crescere e prosperare nel tempo in regioni come la Campania. Dove ai guai da commissariamento fa da contraltare il guaio grosso di un De Luca che sembra più il master di una Signoria illuminata rinascimentale che il punto di approdo di una linea di Partito.

Ecco perché è ancora difficile

Giorgia Meloni

Per questo motivo oggi battere la destra è difficile, perché la si combatte su un terreno sulla quale, a fare la tara a singoli svarioni, la stessa ha già espresso da tempo una seconda e terza generazione di uomini che invece di avere delle idee a prescindere le idee se le fanno venire in corso d’opera. Ed hanno ancoraggi debolissimi con le genesi dei partiti. E le realizzano sotto il naso di chi, oggi, sta aspettando più il 25 aprile che l’esito del mezzo scivolone sul Pnrr.

E nel farlo sta sbagliando di grosso.