Conference Cup: ma che é?

Non è una rivincita. La coppa vinta dalla Roma è un successo cercato, ottenuto. Che non va a rimpiazzare quella coppa svanita trent'anni fa. Il ricordo di chi c'era. Entrambe le volte

Andrea Apruzzese

Inter sidera versor

Avevo 16 anni e mezzo, quando la Roma mancò – malamente – quell’appuntamento con la Storia. Lacrime, nella calda notte romana che ogni primavera ti abbraccia con il suo profumo di gelsomino. Sembrava impossibile, perderla, quella partita: ma sembrava veramente della Roma, quella Coppa dei Campioni. (Leggi qui Roma-Liverpool ed il giocattolo strappato ad una generazione).

Perché per la prima volta nella storia della Coppa, una delle due finaliste avrebbe giocato in casa: la designazione dello Stadio Olimpico di Roma per la finale era stata ovviamente fatta un anno prima. Ma accadde che in finale arrivammo noi, insieme con l’altra finalista. La Roma avrebbe giocato la finale a Roma, in casa, all’Olimpico.

E all’Olimpico, in quella stagione di Coppa dei Campioni, c’era la legge di quello stadio: in casa avevamo sempre vinto 3-0. Con tutti, con chiunque, in tutti e quattro i turni precedenti (all’epoca non c’erano i gironi).

L’emozione interrotta del Liverpool

Una cavalcata esaltante, iniziata con la vittoria dello scudetto 1983. Quello scudetto, che segnò anche il tuo primo articolo pubblicato nella tua storia di giornalista, la prima volta nella tua esistenza in cui hai visto la tua firma, il tuo nome e cognome stampati su carta, quell’emozione di condividere emozioni.

La Roma arrivò in finale come un treno espresso, nonostante alcune sconfitte, riparate poi con il solito 3-0 dell’Olimpico. Poi, accadde l’impensabile, quella sera del 30 maggio 1984. Il gol degli avversari viziato da una carica sul portiere della Roma. Il pareggio. Poi i rigori, nati male, con il nostro eroe, l’ottavo re di Roma, Paulo Roberto Falcao, che non vuole tirare. D’altronde, “i rigori li tira chi si sente di tirarli“.

E da gloria fu infamia, perché nel tifo è così: un attimo su, un instante dopo giù, e solo il tempo mitiga i dolori. Come i rigori. La sfiga delle squadre italiane, fino alla finale dei Mondiali del 2006 o degli Europei del 2021. Ma allora, negli anni ’80, i rigori per gli italiani erano una sfiga. Gambe molli di fronte a Bruce Grobbelaar, il portiere avversario, che si divertiva a fare il clown con gli attaccanti giallorossi, molleggiandosi sugli arti inferiori. I rigori finirono come ricorda la storia. E tu per anni hai ascoltato un tuo amico che ogni notte sognava che toccava a lui tirarli, che quella palla si fermava proprio sulla linea di porta, che le correva addosso, continuava a calciarla e lei non entrava.

Non è stata una rivincita

No, quella di ieri non è stata una rivincita di quella Coppa dei Campioni. (Leggi qui)

Tanta acqua è passata sotto i ponti: quei ragazzi di 16 anni oggi hanno i capelli bianchi (quelli rimasti)e le emozioni si vivono in maniera diversa; la Coppa dei Campioni, la Coppa delle Coppe, non esistono più. Non esiste più il mercoledì di coppa europea, ormai si gioca tutti i giorni e non ci si capisce più nulla. Non ci sono più gli scontri diretti dall’inizio alla fine, ora si comincia con i gironi. E nascono nuove coppe. E tu, all’inizio della stagione ti domandi pure: “Conference Cup? Ma che è?“, perché non sei più il tifoso dei 16 anni, e quel ragazzo di 16 ora ti guarda dall’alto in basso.

Non è una rivincita. È una vittoria. Bella, sofferta. È la nostra prima coppa europea. Ora le altre tifoserie sfotteranno, diranno “vabbé, ma che coppa è? La coppa del nonno? A’ coppetta?“.

Il mitico Mou

(Foto: A.S. Roma)

Ma ognuno gioca nella competizione in cui si trova, e i veri campioni non le snobbano mai. I veri campioni si impegnano, sempre, fino alla fine. E in questo è grande José Mourinho, nel riportare in Italia una coppa europea 12 anni dopo l’ultima, che sempre lui aveva portato: è grande nel rendere campioni dentro, prima che fuori, nel farli impegnare sempre, nel farli credere fino alla fine.

Valori che valgono nella vita: credere sempre ai propri sogni, crederci fino in fondo, andare avanti, non mollare mai. Ora possiamo festeggiare, 37 anni dopo quel 30 maggio 1984.

Non è una rivincita, è una vittoria a sé. Ed è bella.

P.S.: scusate, un inciso. È un pensiero per Francesco Totti. Ha vinto lo Scudetto, ha vinto un Mondiale, ma una coppa europea mai, in tanti anni di carriera. Capita. Ma anche lui, ci ha creduto sempre, fino alla fine.