Colpita ma non abbattuta. La direttrice Asl in isolamento: «Noi sul fronte in Ciociaria»

Aveva già effettuato il tampone. Sapeva che rischiava uscisse positivo al Covid-19. Perché Patrizia Magrini è una che sta in prima linea e sa cosa si rischia. Da gennaio è Direttore Sanitario della Asl di Frosinone, proveniente proprio da quello Spallanzani che il virus ha catapultato nell'occhio del ciclone. Ora lei sta a casa. Questa è l'intervista rilasciata mentre attendeva l'esito di quel tampone.

di Giovanni Tagliapietra

Il Covid-19 ha in qualche modo risparmiato la Capitale, ha messo a dura prova il Viterbese, si è affacciato nel Reatino, ma ha colpito duro nel Lazio meridionale, il Pontino, la Ciociaria. La risposta del sistema socio-sanitario è stato sufficientemente ordinato, il bilancio di vittime e di soggetti positivi è pesante, ma le caratteristiche del territorio e le contromisure in qualche modo hanno ridotto l’impatto con il virus.

Dottoressa, come vede la situazione?

Al 31 marzo i casi positivi nella Provincia sono stati 434, con 1039 persone poste in sorveglianza dal Servizio di Igiene Pubblica; 145 sono usciti dalla sorveglianza; i decessi dei nostri residenti sono stati 24, mentre 27 sono i guariti dal Covid-19.

Abbiamo stimato che il 30% dei casi positivi sono correlati ai cluster registrati nelle case di Cura/RSA della Provincia. Molti dei nuovi casi hanno coinvolto persone già poste in regime di sorveglianza per contatti con casi precedenti, a testimonianza che i servizi territoriali di sorveglianza e contenimento hanno ben operato.

Abbiamo inoltre alcuni cluster (20%) che hanno coinvolto interi nuclei familiari all’interno dei quali la trasmissione era avvenuta già dall’esordio, e che posti in sorveglianza come contatti, si sono evidenziati come positivi nei giorni successivi al primo caso per maturazione del periodo di incubazione della malattia nei diversi componenti.

Probabilmente anche questa è una caratteristica epidemiologica dei piccoli Centri della Provincia dove le relazioni familiari sono più intense così come i contatti tra persone che vivono in caseggiati vicini o nella medesima strada del Paese, mentre in città sono più correlati all’attività lavorativa e alle relazioni che ciascuno costruisce spesso lontano dall’abitazione di residenza.

Quando si è capito che l’allarme era serio? Che strategia di contenimento
ha adottato nella prima fase la ASL di Frosinone?
Patyrizia Magrini

Si è capito subito che il problema era serio e andava affrontato mettendo in campo tutte le professionalità e tutte le strutture di cui disponiamo e
con la massima solerzia.

Abbiamo istituito una task force aziendale sin dal 28 gennaio e diffuso due procedure per la gestione dei casi sospetti rispettivamente presso i Pronto Soccorso e nelle strutture del territorio, punto di riferimento per tutti gli operatori. Le procedure le che abbiamo periodicamente aggiornate (siamo alla revisione n.7 del 30 marzo, conseguente all’aggiornamento delle indicazioni ministeriali emanate in pari data).

Il primo episodio eclatante che ci ha posto di fronte all’epidemia in modo improvviso è stato conseguente alla telefonata dell’Assessorato del 31 gennaio che ci indicava il pullman di cinesi del medesimo gruppo turistico in transito sul nostro territorio dei primi due casi ricoverati in quei giorni allo Spallanzani, dove la comitiva è stata condotta e posta in quarantena.

Nelle ore successive sono emersi i primi casi nella nostra Provincia tra lo sconcerto di cittadini e sindaci, con i quali, come con il Prefetto, il Direttore Generale Stefano Lorusso, ha mantenuto contatto costante, per spiegare alla cittadinanza come affrontare i nuovi eventi in collaborazione con i Comuni coinvolti.

E quando la “bomba” è esplosa? Oggi come si sviluppa l’azione di
contrasto?
Terapia Intensiva Foto © Sergio Oliverio / Imagoeconomica

I casi sono andati aumentando nei giorni di pari passo con l’incremento registrato su tutto il territorio regionale. Sicuramente il cluster della Casa di Cura S. Raffaele di Cassino e poi di INI Città Bianca hanno determinato una impennata dei casi, come peraltro si è verificato in altre ASL per l’impatto dei casi numerosi registrati in queste strutture di ricovero per anziani e nel personale delle stesse, deteminandone i provvedimenti di chiusura accettazioni e dimissioni salvo emergenze
indifferibili.

L’azione di contrasto al diffondersi dell’epidemia si è sviluppata mettendo in campo a scacchiera e in integrazione tutti i nostri 4 Presidi ospedalieri, individuando lo Spaziani di Frosinone come ospedale COVID della Provincia, sede di malattie infettive e del più grande ed espansibile centro di rianimazione. Mentre gli altri ospedali di Alatri, Sora e Cassino hanno assunto funzione di supporto per liberare i posti letto dello Spaziani dei casi non COVID, lasciando spazio ai pazienti positivi in arrivo dal Pronto Soccorso, dal territorio e dagli altri ospedali provinciali.

In pratica, avete giocato d’anticipo…
Coronavirus, ambulanza soccorre paziente © Marco Cremonesi / Imagoeconomica

Abbiamo giocato d’anticipo, accorpando reparti chirurgici in tutti i Presidi e così liberando spazi e personale, per lasciare posto all’area “grigia” a stanze singole per i pazienti in valutazione (in attesa
di risposta al tampone) in tutti gli ospedali e disponendo di reparti vuoti presso lo Spaziani per attivare in modo modulare i reparti COVID.

La presenza di casi positivi al Pronto Soccorso dei 4 ospedali, la necessità di disporre con urgenza di posti letto di TI per pazienti da intubare hanno sovente determinato una accelerazione dell’organizzazione, anticipando le
attivazioni di posti letto che si stavano programmando per i giorni successivi. Così siamo passati piuttosto repentinamente da 14 a 26 posti letto di Malattie Infettive, da 8 a 14 posti di TI COVID, cui si sono aggiunti 40 pl di Medicina COVID e 20 di Medicina D’Urgenza COVID, per un totale di 80 posti letto attivati in pochi giorni a Frosinone: contiamo e speriamo che sia sufficiente, e i dati dei nuovi casi in calo ci confortano in tal senso.

Viceversa abbiamo disponibilità, con integrazione di attrezzature e personale da parte della Protezione Civile, di attivare altri 5 posti di TI e altri 6 di TSI.

La formazione del personale?
Coronavirus, medici in mascherina © Imagoeconomica / Sara Minelli

Abbiamo fatto precedere ogni attivazione di nuovo reparto COVID dalla formazione al personale assegnato per la massima sicurezza dei pazienti e degli operatori stessi. In specie sulle procedure di vestizione e
svestizione fondamentali.

Parallelamente i Medici di Medicina Generale ed i pediatri hanno svolto il loro ruolo di contatto con gli assistiti che li ha rassicurati, curati e limitato al minimo gli accessi al Pronto Soccorso, praticamente deserto sia di codici verdi sia di gialli e rossi dall’inizio dell’emergenza.

Abbiamo conservato e garantito l’assistenza in emergenza delle reti tempo dipendenti di cui è hub l’ospedale di Frosinone (Stroke Unit, Emodinamica) separando i percorsi rispetto ai pazienti COVID, creando sia per questi, sia per il punto nascita e la Pediatria, un percorso dedicato ai parti da madri positive e ai bambini positivi; così abbiamo fatto per garantire sedute dialitiche urgenti h24 ad Alatri per no-COVID e a Frosinone per pazienti COVID. Abbiamo attivato una serie di servizi al cittadino di supporto psicologico e sociale, consegna farmaci, informazioni per i parenti dei ricoverati, cercando di non perdere di vista l’umanizzazione delle cure pur in questo momento di emergenza.

La Provincia di Frosinone è caratterizzata da tanti piccoli centri e sul piano sanitario da un buon numero di strutture private. Il virus ha colpito lì. Come ve lo spiegate?
Coronavirus, medici in Terapia Intensiva © Carlo Lannutti / Imagoeconomica

Le strutture accreditate sono state messe al servizio del Servizio Sanitario regionale, con flusso quotidiano dei posti letto disponibili in piena collaborazione con la ASL.

I Cluster che hanno investito alcune strutture per anziani nella nostra come nelle altre Provincie e anche delle ASL romane, se è vero che colpiscono la popolazione anziana più fragile, impongono un ripensamento circa la formazione e l’organizzazione del personale sanitario, avendo rivelato in questo frangente la difficoltà di contenere la diffusione del contagio all’interno dei singoli reparti in cui un caso si era manifestato.

Fa parte degli insegnamenti che dobbiamo trarre da questa emergenza e che riguardano l’intero territorio nazionale, in quanto situazioni analoghe si sono verificate dovunque nel Paese.

Come vede l’evoluzione del contagio? Nei piccoli centri è più facile essere portati ad abbassare la guardia prima del tempo…
Coronavirus, pazienti in ospedale. Foto © Vince Paolo Gerace / Imagoeconomica

Io credo che questa emergenza abbia insegnato molte cose e porterà al
sistema qualche effetto collaterale positivo a fine crisi, come l’attenzione alle precauzioni igieniche o la considerazione del valore del nostro Servizio Sanitario o dei rapporti sociali a cui stiamo rinunciando e che sono il
connettivo delle relazioni umane.

Non credo che nei piccoli centri ci saranno difficoltà aggiuntive nella ripresa ponderata dell’attività: sia gli operatori sanitari sia i cittadini hanno pagato a caro prezzo questa emergenza in termini di malati e di persone decedute e in termini di impegno lavorativo.

Credo che a tutti sono chiari i risultati raggiunti e che nessuno voglia rischiare di tornare a questa situazione di disagio. Poi gli sconsiderati esistono ovunque, non credo più nei piccoli centri che nelle grandi città metropolitane, ma i sindaci e le autorità preposte vigileranno per una ordinata ripresa della normalità, forse questo più facilmente invece nei piccoli centri che nelle città, per la vicinanza dei nostri 91 sindaci ai cittadini che amministrano.

Questa emergenza è stata una cartina al tornasole: a me che ero arrivata in
questa ASL neanche da un mese ha rivelato il valore di molti professionisti e lo spirito di collaborazione e integrazione tra i professionisti, anche delle diverse cittadinanze che forse in passato avevano manifestato, per attaccamento ciascuno al proprio territorio, meno collaborazione reciproca.

Questa integrazione, indispensabile e sollecitata in questo frangente, è stata sperimentata sul campo e sarà un altro effetto positivo a fine crisi di cui nessuno dimentica.