Cosa c’è dietro il voto di Palazzo Valentini

Il voto che ha portato Luca Di Stefano alla vicepresidenza dell'Upi Lazio. I veti nel centrodestra regionale. Che hanno spiazzato quello locale. E collocato Fazzone in posizione favorevole. Il peso dei patti che sono validi solo a Frosinone

Roberta Di Domenico

Spifferi frusinati

Cosa è successo davvero a palazzo Valentini? Quali sono stati i patti ed i veti che hanno portato all’elezione del duo Romoli – Di Stefano alla guida dell’Unione Province italiane? (Leggi qui: Il capolavoro tattico che porta Romoli – Di Stefano sul tetto dell’Upi).

La tattica sul campo è stata raccontata in tempo reale: ora bisogna salire di livello per capire le strategie. E le divisioni all’interno dei Partiti: tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra. Tanto in provincia di Frosinone e tanto nel Lazio

Veti e vie di fuga

Quadrini e Fazzone

Per comprendere la partita bisogna avere chiaro un punto: il veto di Fratelli d’Italia e della Lega sul nome di Alessandro Romoli, presidente della Provincia di Viterbo. Cosa ha che non va? In base alla prassi istituzionale della rotazione, alla guida dell’Upi si alternano un presidente del Nord Lazio (Viterbo – Rieti) ed uno del Sud Lazio (Frosinone – Latina). Al posto dell’uscente Antonio Pompeo (Frosinone) andava individuato uno tra Romoli (Forza Italia) e Roberta Cuneo (Lega).

Ma su Alessandro Romoli vige una ‘scomunica‘ politica: è stato eletto presidente al di fuori del tavolo di centrodestra. È il risultato della manovra di rottura dell’assedio con cui nei mesi scorsi il coordinatore regionale di Forza Italia Claudio Fazzone si è liberato dalla stretta di FdI e Lega. Che miravano a soffocarlo e ridurne il peso politico sullo scacchiere regionale e soprattutto nella provincia di Latina che è il suo feudo storico.

Quel nome nasce dal dialogo di Claudio Fazzone con una parte dei centristi di Italia Viva ed Azione, con un’ala del Partito Democratico: il compianto senatore Bruno Astorre, l’allora ex vicepresidente della Regione Daniele Leodori, con il leader di Pensare Democratico Francesco De Angelis. Nascono da quel dialogo non ufficiale le elezioni di Gerardo Stefanelli alla presidenza della provincia di Latina, Alessandro Romoli alla guida della provincia di Viterbo, un anno di sostegno ponderato ai civici di Damiano Coletta a Latina città. (Leggi qui: La pace di Fazzone e il suo modello).

Il veto su Frosinone

Roberta Cuneo (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Il No a Romoli disegna una scenario preciso: il centrodestra deve votare Roberta Cuneo di Fara Sabina, presidente da gennaio della provincia di Rieti. Il che taglia fuori Luca Di Stefano da qualsiasi ipotesi di dialogo. Perché lo schema politico Lega – FdI non prevede spazi per un civico come il presidente di Frosinone.

È una mossa che mette in imbarazzo la pattuglia di centrodestra partita da Frosinone: Andrea Amata (Capogruppo della Lega alla Provincia di Frosinone), Giuseppe Pizzuti (Consigliere provinciale del Carroccio), Riccardo Ambrosetti (Capogruppo FdI in Provincia di Frosinone) e Stefania Furtivo (Consigliere provinciale di Fratelli d’Italia). Perché? Non vengono dal convento delle orsoline: sanno benissimo che votando Romoli c’è la possibilità di tornare a casa portando la vicepresidenza per Frosinone. Il che cementerebbe il dialogo avviato da settimane con Luca Di Stefano per varare un esecutivo provinciale allargato nei fatti a tutti.

Ma è altrettanto vero che una disposizione di Partito manda all’aria tutto il resto: Ubi major, minor cessat. Ed in caso di dubbi valgono le parole dei coordinatori regionali Paolo Trancassini (FdI) e Claudio Durigon (Lega): le posizioni assunte in sede di assemblea Upi avranno riflessi regionali. È un ordine di scuderia.

Gianluca Quadrini e Luigi Vacana

La soluzione individuata è semplice quanto efficace: fare catenaccio ed arrivare al novantesimo, facendo in modo che la partita poi venga rinviata. Per proseguire in altra data. Dando così il tempo alle diplomazie per definire una linea comune. È per questo che il centrodestra esce dall’Aula: la pattuglia ciociara non vota contro Luca Di Stefano, fa il massimo concesso dal terreno. E cioè esce dall’Aula.

Su questo si inserisce come un falco Gianluca Quadrini e mette a segno la strategia disegnata nei giorni precedenti con Luca Di Stefano. Un capolavoro tattico. In stretto contatto con Enrico Pittiglio (Capogruppo Pd), Luigi Vacana (vicesindaco di Gallinaro) e Valentina Cambone (Vice presidente della provincia). Nei fatti si compattano il Pd di Pensare Democratico, i renziani, Forza Italia. (Leggi qui tutti i dettagli: Il capolavoro tattico che porta Romoli – Di Stefano sul tetto dell’Upi).

Le geometrie politiche variabili

Il risultato di Palazzo Valentini mette in luce alleanze differenti che alla fine  hanno determinato l’elezione di Luca Di Stefano. Per avere un quadro più omogeneo bisogna guardare a quello che sta succedendo in queste ore in Comuni oltre i 15mila abitanti come Ferentino ed Anagni. A maggio andranno al voto per rinnovare le amministrazioni cittadine. Anche qui, gli schemi tradizionali della politica locale sono completamente saltati.

Ancora una volta centrodestra e centrosinistra si presentano ai nastri di partenza frammentati al loro interno. Non solo: stanno attestati su candidati diversi e trasversali. Alleanze che si rivelano estremamente fluide e mutevoli: basta che ci sia la ciccia per la quale spostarsi. Perché nel gioco della politica l’importante è solo vincere.

Quello che è accaduto con l’elezione di Luca Di Stefano a vice presidente dell’Upi è assolutamente emblematico ed indicativo. Una parte del centrodestra (Lega e Fdi) che a Frosinone avevano un dialogo avviato con Di Stefano per la composizione della giunta provinciale si sono ritrovati a non poterlo onorare nel momento in cui hanno varcato i confini. Il che indica che o Frosinone non ha peso specifico a Roma oppure a Frosinone pensavano di poter fare tutto senza che se ne sapesse nulla fuori dalla Ciociaria.

La dimostrazione del tutto sta nella posizione che Forza Italia ha continuato a mantenere. Significa che i patti stretti sul territorio hanno validità anche al suo esterno. E questo avrà conseguenze anche sull’assegnazione delle deleghe provinciali. Perché non ha senso un’alleanza fatta solo sul perimetro più piccolo ed in maniera quasi carbonara.

Alleanze per il governo

Giuseppe Conte

Da questo tourbillon di alleanze derivano alcune riflessioni. Non si tratta di alleanze di governo. Tese cioè ad un programma amministrativo dell’ente. Ma alleanze costruite per conquistare la posizione di potere disponibile al momento. Oppure costruite per far perdere il proprio alleato naturale.

È ipocrita storcere il naso. Nei cinque anni della scorsa legislatura si sono alternate al governo del Paese le alleanze più innaturali. I protagonisti del governo gialloverde fino a poche settimane prima si erano urlati le peggiori cose dai palchi. Collassato quel modello, il Movimento 5 Stelle si è alleato con Quelli di Bibbiano mandando di notte a staccare i manifesti ancora umidi di colla ed ordinando all’onorevole Luca Frusone di togliere i post dalla sua bacheca.

In questo risiko delle alleanze, il centrodestra che pure è maggioranza sia nel Paese che a livello provinciale, vince le elezioni Politiche e Regionali. In Ciociaria però non tocca palla. Non elegge un proprio presidente della Provincia dai tempi di Antonello Iannarilli. Non riesce a collocare un proprio uomo negli enti intermedi.

Francesco De Angelis ed Antonio Pompeo litigano e si dividono. Ma nel nome dello stesso Partito. Così almeno, uno dei due, esce sempre vincitore. 

Invece, gli onorevoli Nicola Ottaviani (coordinatore provinciale della Lega) e Massimo Ruspandini (coordinatore provinciale di Fdi) evitano di incontrarsi, insieme ai commissari di Forza Italia. La realtà è che conviene a tutti: perché altrimenti a Ferentino sarebbero andati in contro ad una sconfitta epocale, invece evitando il tavolo è scattata la corsa ad accasarsi nella coalizione di Piergianni Fiorletta. Altrettanto ad Anagni: dove non sono escluse sorprese.

Conviene a tutti. Converrebbe di più se i patti di Frosinone potessero essere calati anche su tavoli come quelli di Palazzo Valentini.

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